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MassimaLa reintegrazione dei diritti lesi del legittimario non è assoggettata all'imposta di registro ma si applica l'art. 43 del D.Lgs. n. 346 del 1990. Quest'ultimo afferma che nelle successioni testamentarie l'imposta si applica in base alle disposizioni contenute nel testamento, anche se impugnate giudizialmente, nonché agli eventuali accordi diretti a reintegrare i diritti dei legittimari risultanti da atto pubblico o da scrittura privata autenticata. La disposizione sancisce una sorta di neutralità fiscale del negozio tra vivi, risultante da atto pubblico o da scrittura privata autenticata, successivo all'apertura della successione, e volto alla reintegra dei diritti dei legittimari. Conseguentemente, nel caso di specie, tra due fratelli viene stilata una conciliazione per cui uno viene soddisfatto mediante la ricezione di una somma di denaro in base alla quale rinuncia alla disposizione testamentaria in favore dell'altro a cui vene attribuita la proprietà di immobili”.

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Estratto: “L’avviso impugnato è stato emesso sul presupposto della mancata risposta al questionario in realtà non notificato, quindi, in assenza del presupposto per poter procedere all’accertamento per ricostruire legittimamente il reddito induttivamente ai sensi dell’art. 3, c2, lett.d-bis del DPR 600/73, tale atto deve essere annullato”.

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Estratto: “l'art. 5, comma 3, del d.lgs. 147/2015, che esclude l'accertamento induttivo della plusvalenza ricavata dalla cessione di immobile o di azienda solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell'imposta di registro, ipotecaria o catastale, è una norma interpretativa e, come tale, retroattiva, in ragione del chiaro intento del legislatore”.

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Estratto: “l'ulteriore elemento valorizzato dalla CTR (il non aver la società prodotto atti sufficienti a smentire le conclusioni raggiunte dall'Ufficio) è di per sé privo di rilievo, atteso che la contribuente, in assenza di prestazioni rese "in nero", giammai avrebbe potuto fornire la dimostrazione di un fatto negativo. Essendosi al cospetto, allora, di meri elementi indiziari, la CTR avrebbe dovuto valutare se fossero esistenti ulteriori elementi di riscontro idonei a supportarli, se del caso ricorrendo ai suoi poteri inquisitori”.

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Estratto: “gli elementi indicati dall'ufficio a sostegno della pretesa apparivano ancorati a mere presunzioni, cui non hanno fatto seguito riscontri probanti di alcun genere. Il giudice di appello ha poi evocato «ad ulteriore sostegno delle valutazioni di cui immediatamente sopra», il riferimento alle sentenze del giudice penale che sono pervenute alla conclusione secondo cui «i fatti addebitati non risultavano provati nella loro materialità»”.

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Estratto: “la tesi dell’Ufficio, negando il diritto della contribuente ha richiesto rimborso delle spese di fideiussione, equivarrebbe ad addossare alla stessa un “rischio finanziario” incompatibile con la direttiva Comunitaria, privandola del recupero totale del proprio credito IVA, credito che verrebbe in effetti decurtato del costo delle fideiussioni necessarie per lo stesso recupero. Anche perché non si comprende la ragione per la quale, operando secondo gli assunti dell’ufficio, si dovrebbe ammettere al rimborso i contribuenti che sono stati i destinatari di una pretesa tributaria, mentre sarebbero esclusi contribuenti più “virtuosi” che non sono destinatari di nessuna pretesa tributaria al riguardo”.

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Estratto: “la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 149 e 182 cod. proc. civ., della legge n. 890 del 1982, nonché degli artt. 16, 20, 22 e 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, in quanto la sentenza impugnata è stata emessa, nella sua dichiarata contumacia, nonostante l'omessa prova della notifica dell'atto di appello, dalla quale derivava l'inammissibilità del gravame in ragione della mancanza di una valida costituzione del contraddittorio. 2. Il motivo è fondato. Emerge infatti dall'esame degli atti di causa (…) che l'Agenzia delle Entrate ha prodotto in appello non già la cartolina di avvenuta notifica dell'atto di gravame, ma una mera reversale di invio di posta in uscita”.

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Estratto: “La Commissione non condivide l’interpretazione dell’art. 8, comma 4, della legge n. 212/2000 fornita dall’Ufficio, secondo la quale “la norma si riferisce al rimborso di tributi che scaturiscono dall’attività accertativa dell’Ufficio, laddove venga accertato un maggior o minore debito. L’ambito di applicazione non può estendersi ai rimborsi che vengono richiesti ai sensi degli articoli 30 e 38 bis in via accelerata”, atteso che tale interpretazione verrebbe limitare l’operatività del comma 4 dell’art. 8 ai soldi costi di “accertamento d’imposte” ed a escludere così la sua applicazione al “rimborso dei tributi”. La norma in esame, infatti, non si limita affatto alle sole ipotesi prospettate dell’A.F., ma include espressamente il caso di rimborso dei tributi. La tesi dell’ufficio, pertanto, non è assolutamente condivisibile, non solo in quanto infondata, ma anche perché del tutto contraria la lettera e alla ratio dell’articolo 8, comma 4, dello statuto del contribuente”.

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Di seguito una struttura argomentativa per eccepire la nullità dell’atto per violazione dell’art. 12, comma 7, L. 212 del 2000 e mancato contraddittorio procedimentale.

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Estratto: “la domanda con la quale il contribuente chiede la condanna all’Erario al rimborso dell’importo pagato per la prestazione di cauzioni è devoluta alla giurisdizione del Giudice tributario. Nel merito questa commissione, rileva la fondatezza della pretesa della ricorrente in ordine al richiesto rimborso del credito Iva maturato negli anni di imposta 2004 e 2005, ai sensi e per gli effetti di quanto disposto dall’art. 8 c. 4 dello Statuto del Contribuente”.

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