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Plusvalenza realizzata dalla cessione di immobili o aziende: nullo l’avviso basato sul valore accertato ai fini dell'imposta di registro

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Estratto: “la norma di interpretazione autentica di cui all'art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 147 del 2015, avente efficacia retroattiva, esclude che l'Amministrazione finanziaria possa determinare, in via induttiva, la plusvalenza realizzata dalla cessione di immobili e di aziende solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell'imposta di registro, ipotecaria o catastale, dovendo l'Ufficio individuare ulteriori indizi, gravi, precisi e concordanti, che supportino l'accertamento del maggior corrispettivo rispetto a quanto dichiarato dal contribuente, su cui grava la prova contraria”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5,

Sentenza n. 3377 del 12 febbraio 2020

M. e P. R. impugnavano dinnanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano due avvisi di accertamento con cui l'Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Milano 2, aveva accertato una maggiore plusvalenza ai fini IRPEF per il periodo d'imposta 2005, che era stata tassata separatamente ai sensi dell'art. 17 comma 1 lett. g bis e comma 3 del d.p.r. n. 917 del 1986, in relazione alla cessione di un terreno edificabile situato nel Comune di Bollate. Il valore dichiarato nell'atto di cessione, pari ad Euro 450.000,00, era stato rettificato, ai soli fini dell'applicazione dell'imposta di registro, in Euro 610.000,00 da parte dell'Ufficio tributario che conseguentemente aveva rettificato anche la plusvalenza tassando quella differenziale. Con il ricorso presentato i contribuenti ritenevano che gli atti impugnati fossero affetti da nullità/inesistenza per carenza della relazione di notificazione; nel merito, chiedevano l'annullamento degli avvisi basati sul valore accertato ai fini dell'imposta di registro, presupposto della rettifica della plusvalenza tassabile ai fini delle imposte sui redditi.

La CTP di Milano con la sentenza n. 315/9/13 rigettava i ricorsi considerando che l'Ufficio legittimamente può accertare il reddito da plusvalenza sulla base di quello definito ai fini dell'imposta di registro. Proposto appello da parte dei contribuenti, la CTR della Lombardia con sentenza in data 2.9.2014 accoglieva il gravame non ritenendo fondati i motivi addotti dall'Ufficio per la rettifica della plusvalenza già dichiarata. Avverso detta pronuncia l'Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione affidato ad un motivo cui resistevano con controricorso i contribuenti che in via preliminare eccepivano la nullità della notifica del ricorso per cassazione. Parte resistente depositava altresì memoria ex art. 378 c.p.c.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Va in primis ritenuta l'infondatezza della eccezione di nullità della notificazione del ricorso per cassazione dedotta dai controricorrenti secondo cui il ricorso risulterebbe sottoscritto da "P. G. avvocato dello Stato" mentre la relazione di notificazione stesa in calce al medesimo risulterebbe sottoscritta da altro soggetto pur se ugualmente Procuratore dello Stato. A riguardo va premesso che la notifica effettuata a mezzo del servizio postale consta della spedizione dell'atto e della consegna del relativo plico al destinatario cosicché l'avviso di ricevimento, prescritto dall'art. 149 c.p.c. e dalle disposizioni della I. n. 890 del 1982, n. 890, è il solo documento idoneo a dimostrare sia l'intervenuta consegna sia la data di essa e l'identità e idoneità della persona a mani della quale è stata eseguita, senza che sia necessario redigere una relazione di notificazione.

Peraltro, anche a prescindere dal rilievo che nel caso di notifica a mezzo posta, non è richiesta la relazione di notificazione, va altresì considerato che l'eventuale nullità della notifica, anche ove esistente, sarebbe stata comunque sanata dalla costituzione dei resistenti. Ed invero "In tema di ricorso per cassazione, l'eventuale nullità della notificazione è sanata dalla predisposizione (e notifica) del controricorso ad opera della parte resistente, la quale si sia difesa nel merito, in virtù del generale principio di sanatoria dei vizi degli atti processuali del raggiungimento dello scopo ex art. 156, comma 3, c.p.c. (vedi tra le ultime Cass., Sez. 5, n. 18402/18).

Con riguardo al merito del ricorso, con l'unico motivo rubricato " Violazione o falsa applicazione degli artt. 67 e 68 del d.p.r. n. 917 del 1986 (TUIR) e dell'art. 2697 c.c. in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c." parte ricorrente deduceva che la CTR nell'accogliere l'appello dei contribuenti ha erroneamente applicato l'art. 67 TUIR sul presupposto che l'Ufficio non ha provato il reale incremento della plusvalenza dichiarata che i contribuenti avevano dedotto (per la quota di 1/6 ciascuno) dal corrispettivo incassato e dichiarato ai fini dell'imposta di registro. Aggiungeva che la CTR aveva disatteso l'orientamento secondo cui il rilievo definito ai fini dell'imposta di registro costituisce un valido punto di partenza per l'accertamento della plusvalenza ex art. 67 comma 1 TUIR ai fini delle imposte dirette.

Il motivo è infondato. Ed, invero secondo la costante giurisprudenza di legittimità, (vedi tra le altre Cass., Sez. V, n. 12131/19; Cass. Sez. V, n. 12265/2017; Cass. Sez. 6-5, n. 11543/2016) in tema di imposte sui redditi, la norma di interpretazione autentica di cui all'art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 147 del 2015, avente efficacia retroattiva, esclude che l'Amministrazione finanziaria possa determinare, in via induttiva, la plusvalenza realizzata dalla cessione di immobili e di aziende solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell'imposta di registro, ipotecaria o catastale, dovendo l'Ufficio individuare ulteriori indizi, gravi, precisi e concordanti, che supportino l'accertamento del maggior corrispettivo rispetto a quanto dichiarato dal contribuente, su cui grava la prova contraria. Correttamente, pertanto, la CTR ha nella specie ritenuto che l'Ufficio avrebbe dovuto dare concreta prova del maggior corrispettivo incassato dalle parti sia con indagini patrimoniali che con riscontri bancari tali da costituire presupposti di una maggiore plusvalenza.

Alla stregua di quanto fin qui esposto, il ricorso va rigettato. La regolamentazione delle spese di lite, disciplinata come da dispositivo, segue la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento della spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 6000,00 oltre accessori di legge.

Così deciso nella camera di consiglio in data 9 ottobre 2018.

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