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“Frode carosello”: quali criteri per la deducibilità dei costi delle operazioni soggettivamente inesistenti?

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Estratto: (...) sono deducibili i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti (inserite, o meno, in una "frode carosello"), per il solo fatto che siano stati sostenuti, anche nell'ipotesi in cui l'acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità oppure di costi relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di un delitto non colposo”.

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Corte di Cassazione. Sez. 5,

Ordinanza n. 5820 del 3 marzo 2020

Ritenuto che:

- la B & T M.s.r.l. ha proposto ricorso avverso due avvisi di accertamento relativi agli anni d'imposta 2002 e 2004, emessi quale parziale esito della verifica del Comando della Guardia di Finanza di Erba per gli anni 2002, 2004, 2005, 2006 e 2007, ipotizzando che la società fosse stata parte di una cd. "frode carosello", quale soggetto "interponente", in relazione all'acquisto di autovetture dai fornitori I. e A. di R.I., accertando un maggior importo di Iva e sanzioni per l'anno 2002, oltre interessi, nonché per l'anno 2004, un recupero impositivo a titolo di Irpef e Irap;

- la Commissione tributaria provinciale di Como con sentenza n. 25/01/09, depositata il 12 marzo 2009, previa riunione delle controversie, ha accolto i ricorsi;

- la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha accolto l'appello dell'amministrazione, ritenendo provata la frode fiscale e la consapevolezza della partecipazione della società contribuente all'attività illecita;

- la società ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi;

- resiste l'Agenzia delle entrate con controricorso.

Considerato che:

- con il primo motivo di ricorso si contesta la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 60 bis al d.P.R. n. 633 del 1972, applicato dalla Commissione, ma non ancora in vigore all'epoca dei fatti (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.).

Secondo quanto dedotto, solo a partire dalla data di entrata in vigore di tale articolo (2005) il cessionario può liberarsi dall'obbligazione solidale ai fini Iva se dimostra documentalmente che il prezzo inferiore dei beni sia stato determinato in ragione di eventi o situazioni di fatto oggettivamente rilevabili;

- con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2697 c.c. Si prospetta, al riguardo, la violazione del principio dell'onere della prova laddove il giudice di merito ha ritenuto che, in caso di operazioni inesistenti, spetti al contribuente l'onere di dimostrare la propria estraneità ai fatti, nonostante l'Ufficio, pur rappresentando una serie di elementi tali da fare sorgere alcuni sospetti, non abbia addotto alcuna prova concreta o documento utile a trasformare meri indizi in fatti provati e la società abbia comunque esibito e prodotto tutti i documenti richiesti, risultando in grado di dimostrare la fonte che giustifica la detrazione dell'Iva.

Si evidenzia, inoltre, che per costante giurisprudenza, in tema di Iva, la fattura è documento idoneo ad attestare un costo dell'impresa. Nell'ipotesi in cui la documentazione appaia regolare e l'Amministrazione finanziaria sostenga l'inesistenza dell'operazione, l'onere della prova spetta all'Amministrazione stessa e questa può soddisfarlo in via presuntiva, purché si tratti di presunzioni gravi, precise e concordanti.

Il giudice, in tal senso, sarebbe sempre tenuto a verificare se l'Ufficio offra la prova del quantum accertato entro i confini dei parametri indicati (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.);

con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 28-quater parte A, lettera a), comma 1 della VI Direttiva n. 77/388/CEE, come modificata dalla Direttiva 2000/65/CE.

Parte ricorrente sostiene che la sentenza abbia omesso di considerare che, qualora il soggetto inserito in un circuito di frode carosello ignori la macchinazione ordita dal cedente, il diritto alla detrazione dell'Iva non possa essere escluso (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.);

- con il sesto motivo di ricorso si prospetta un vizio di motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio.

Parte ricorrente sostiene che la motivazione della Commissione tributaria regionale sia palesemente generica (e quindi apparente) in punto di valutazione delle prove acquisite, avendo omesso di specificare in cosa queste concretamente consistessero e di argomentare adeguatamente in ordine alla confutazione delle argomentazioni del primo giudice, sì da non risultare comprensibile l'iter logico-giuridico fondante la decisione.

La motivazione della Commissione tributaria regionale risulterebbe, altresì, apparente e priva di reale contenuto, avendo omesso di valutare gli argomenti di prova forniti dalla società negli atti (ricorsi e memorie) del primo grado di giudizio, specie con riferimento alla regolarità delle operazioni effettuate, reali e ritualmente contabilizzate ed essendosi riportata pedissequamente alle argomentazioni dell'Ufficio, omettendone ogni vaglio critico (art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.);

- il primo, il secondo, il terzo e il sesto motivo, da trattarsi congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono infondati;

- nessun rilievo assume il richiamo all'applicazione illegittima dell'art. 60 bis d.P.R. n. 633 del 1972, che disciplina la solidarietà nel pagamento dell'imposta, non avendo la Commissione tributaria regionale fatto applicazione della disposizione in oggetto;

- secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, in tema d'Iva, l'Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga a operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell'ambito di una frode carosello, ha l'onere di provare, non solo l'oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l'operazione si inseriva in una evasione dell'imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base a elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l'ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27554; Cass. 5 luglio 2018, n. 17619; Cass. 18 maggio 2018, n. 12258; Cass. 15 maggio 2018, n. 11873; Cass. 9 settembre 2016, n. 17818; Cass. 5 dicembre 2014, n. 25778);

- l'onere dell'Amministrazione finanziaria sulla consapevolezza del cessionario va ancorato al fatto che questi, in base ad elementi obiettivi e specifici, che spetta all'Amministrazione individuare e contestare, conosceva o avrebbe dovuto conoscere che l'operazione si inseriva in una evasione all'Iva e che tale conoscibilità era esigibile, secondo i criteri dell'ordinaria diligenza e alla luce della qualificata posizione professionale ricoperta, tenuto conto delle circostanze esistenti al momento della conclusione dell'affare e afferenti alla sua sfera di azione (Cass. 20 aprile 2018, n. 9851);

- ove l'Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un'operazione volta a evadere l'imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non potendo tale onere ritenersi assolto con l'esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, che vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un'operazione fittizia, nè assumendo rilievo la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (Cass. 20 aprile 2018, n. 9851);

- nel caso di specie, la pronuncia impugnata ha dato adeguato conto delle ragioni poste alla base dell'assolvimento dell'onere della prova da parte dell'Agenzia delle entrate, sia in ordine alla frode, risultando le società coinvolte delle mere "cartiere", sia in relazione alla consapevole partecipazione da parte della società ricorrente alla luce di quanto emerso (riguardo alla I. è stata sottolineata: l'assenza di dipendenti o soggetti preposti all'amministrazione, la mancanza di insegna nella sede, l'omessa presentazione della dichiarazione Iva, l'omesso versamento dell'Iva; riguardo alla A.: la presenza di una sede soltanto virtuale, un brevissimo arco di vita che ha dato luogo a un impressionante volume d'affari; assenza di ricarico sul venduto effettivo; errori di fatturazione evidenti e illogiche discrasie tra la data di acquisto e quella di vendita da parte delle società soggettivamente inesistenti; mancanza di passaggi intermedi tra il venditore residente all'estero e l'acquirente finale; assenza di indicatori che avrebbero potuto qualificare la I. e la A. come semplici mediatori);

- al fine di assolvere l'onere della prova gravante sull'amministrazione, non è necessaria la prova del diretto coinvolgimento o della partecipazione all'evasione ma è sufficiente, e necessario, che il contribuente avrebbe dovuto esserne consapevole (Cass. 20 aprile 2018, n. 9851); - avendo l'Amministrazione finanziaria fornito idonei elementi probatori della natura di "cartiera" delle società collocate a monte della cessione - sulla base delle specifiche circostanze dedotte e

riportate nella pronuncia impugnata - e del fatto che il cessionario, in base alle circostanze emerse dalle operazioni contestate, conosceva o avrebbe dovuto conoscere che l'operazione si inseriva in una evasione all'Iva, sarebbe spettato alla società contribuente, che con tali società aveva intrattenuto rapporti commerciali, fornire la prova di aver svolto tali trattative in buona fede, ritenendo incolpevolmente che le merci acquistate fossero effettivamente rifornite dalla società cedente;

- con il quarto motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell'alt 75 del d.P.R. n. 917/1986 e dell'articolo 14 comma 4 bis della legge 537/93 in quanto - dal punto di vista delle imposte dirette - il non considerare i costi di acquisto delle auto determina l'assurda situazione per cui il reddito della ricorrente risulta pari al valore di vendita dei beni medesimi, come se gli stessi fossero stati acquisiti a titolo gratuito. L'accertamento determinerebbe, con ogni probabilità, una duplicazione di imposta o, in ogni caso, un indebito arricchimento. Stessa violazione concretizza l'ulteriore ripresa dell'Agenzia dei costi sostenuti per manutenzioni e riparazioni riferite a veicoli.

Nel caso di specie, le fatture di acquisto riguardano beni ricevuti e servizi esistenti, con valore non maggiorato rispetto a quanto effettivamente corrisposto;

- il motivo è fondato;

- riguardo ai profili concernenti l'accertamento Irpef e Irap per l'anno 2006, vi è da osservare che in tema di imposte sui redditi, ai sensi dell'art. 14, comma 4 bis, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (nella formulazione introdotta con l'art. 8, comma 1, del d.l. 2 marzo 2012, n. 16, conv. in legge 26 aprile 2012 n. 44), che opera, in ragione del precedente comma 3, quale jus superveniens con efficacia retroattiva in bonam partem, sono deducibili i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti (inserite, o meno, in una "frode carosello"), per il solo fatto che siano stati sostenuti, anche nell'ipotesi in cui l'acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità oppure di costi relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di un delitto non colposo (Cass. 17 dicembre 2014, n. 26461);

- nel caso di specie, in relazione ai costi sostenuti per l'acquisto della merce oggetto delle fatture contestate deve accertarsi in sede di merito, non essendo possibile il relativo accertamento in sede di legittimità, se tali costi fossero stati effettivi e correttamente imputati al conto economico dell'esercizio di competenza, ai fini della loro deducibilità, a prescindere dall'eventuale falsità ideologica delle relative fatture; - con il quinto motivo di ricorso si prospetta la nullità della sentenza e/o del procedimento in quanto la B&T M., pur essendosi costituita con comparsa del 28 luglio 2010, non ha ricevuto notizia alcuna dell'udienza di trattazione del successivo 15 dicembre 2010 nella quale è stata emessa la sentenza appellata, successivamente depositata il 30 dicembre 2010 (art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.);

- il motivo è infondato;

- nel processo tributario, la tardiva costituzione in giudizio della parte resistente non comporta alcuna nullità, stante il principio di tassatività delle relative cause, determinando soltanto la decadenza dalla facoltà di chiedere e svolgere attività processuali eventualmente precluse, con la conseguenza che essa non fa venire meno il diritto del resistente a ricevere la comunicazione dell'udienza di trattazione, a meno che non si sia costituito in un momento successivo a quello in cui l'avviso sia già stato inoltrato (Cass. 29 maggio 2019, n. 14638); - nel caso di specie, come evidenziato nella memoria dell'Agenzia, la contribuente si è costituita tardivamente (28 luglio 2010), oltre i 60 giorni dalla notifica dell'appello (14 aprile 2010), e l'avviso di trattazione è stato inviato alle parti costituite anteriormente alla cosituzione (22 luglio 2010), per cui non sussiste alcuna nullità;

- la pronuncia deve essere dunque cassata in relazione al quarto motivo con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso e rigetta i restanti motivi;

cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione anche per la liquidazione delle spese di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione civile, il 2 ottobre 2019.

 

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