Estratto: “Emerge dagli atti di causa che la questione portata al vaglio della CTP non è stata quella della gerarchia delle fonti, prospettata per la prima volta nel ricorso per cassazione, ma della sussistenza dei presupposti, ex art.2 d.P.R. 917/86 e art. 43 c.c. per la residenza fiscale in Italia, che non può essere esclusa dall'iscrizione all'Anagrafe Italiani Residenti all'Estero, ma dev'essere individuata mediante indizi di fatto”.
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Civile, Sez. 5, ordinanza Num. 7328 del 17 marzo 2020.
RILEVATO IN FATTO
Il ricorrente O.S. è commercialista di Milano in pensione, trasferitosi in Svizzera ed iscritto all'anagrafe degli italiani residenti all'estero, in quanto trasferitosi in Svizzera.
Lo stesso lamenta la doppia imposizione sul trattamento di quiescenza, che subisce una trattenuta alla fonte in Italia ed è tassato anche in Svizzera, mentre, invece, per la convenzione Italo-Elvetica dev'essere tassato in questo secondo Paese, dove il contribuente medesimo ha stabilito il centro principale dei suoi affari ed interessi.
Presentata, quindi, al COP di Pescara istanza di rimborso delle trattenute Irpef operate dalla cassa di previdenza professionale sugli assegni erogati nell'anno di imposta 2009, impugna il provvedimento di diniego, con esito favorevole in primo grado, ma contrario dinanzi alla CTR che riforma la sentenza della CTP.
La pronuncia dei giudici di appello evidenzia una serie di circostanze dalle quali sarebbe evidente che il contribuente avrebbe mantenuto in Italia il centro principale dei suoi affari: tra le tante il ruolo di "legale rappresentante" (poi corretto in ruolo di incarichi sociali) rivestito in diverse società ed associazioni no profit, una barca a vela mantenuta in Italia (sebbene in seguito venduta) ed altre circostanze minori.
Ricorre per cassazione il contribuente affidandosi a tre motivi, cui replica l'Avvocatura con puntuale controricorso.
In prossimità dell'udienza il contribuente ha depositato memoria.
La sentenza qui oggetto di ricorso per cassazione è stata contestualmente impugnata per revocazione e la pronuncia di rigetto è stata a sua volta impugnata per cassazione con il ricorso iscritto al n. 13630/2015 che viene anche oggi alla cognizione di questa Corte, affidato ad un solo motivo di ricorso, cui ha resistito con controricorso l'amministrazione finanziaria e per la quale le parti hanno depositato memoria in prossimità dell'udienza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. In via preliminare di rito i due giudizi n.10281/2014 e n.13630/2015, essendo contemporaneamente pendenti in sede di legittimità, debbono essere riuniti. Deve, infatti darsi continuità ai principi ribaditi, da questa Corte nella sentenza del 05 agosto 2016 n.16435 (ma anche in Cass. S.U., n. 10933 del 1997, n. 1814 del 2004, n. 21938 del 2006, n. 23445 del 2014, n. 10534 e n. 11898 del 2015) secondo cui "i ricorsi per cassazione, proposti, rispettivamente, contro la decisione della Corte d'appello e contro quella che decide l'impugnazione per revocazione avverso la prima, debbono, in caso (come quello in esame) di contemporanea pendenza in sede di legittimità, essere riuniti in applicazione (analogica, trattandosi di gravami avverso distinti provvedimenti) della norma dell'art. 335 c.p.c., che impone la trattazione in un unico giudizio di tutte le impugnazioni proposte contro la stessa sentenza. Infatti, la riunione di detti ricorsi, pur non essendo espressamente prevista dalla norma citata, discende dalla connessione esistente tra le due pronunce, atteso che sul ricorso per cassazione proposto contro la sentenza rese in sede di appello può risultare determinante la pronuncia di cassazione riguardante la sentenza resa in sede di revocazione."
"Il carattere pregiudiziale delle questioni inerenti alla revocazione, comporta che il loro esame abbia la precedenza su quello del ricorso contro la sentenza d'appello (in termini, Cass. n. 6878 del 2009; n. 6456 del 2010)".
2. Viene, pertanto, trattato con precedenza il ricorso n.13630/2015 riferito alla sentenza che ha deciso la revocazione, che riveste carattere pregiudiziale di rito.
Con l'unico motivo di ricorso si lamenta la nullità della sentenza per violazione dell'art.395, n.4, rilevante ex art.360, n.4 c.p.c., per non avere la Commissione Tributaria Regionale verificato se la decisione di appello, senza l'errore di fatto compiuto nella sentenza impugnata, avrebbe potuto essere diversa, così come vuole l'art. 395 c.p.c..
L'errore di fatto revocatorio denunciato dal contribuente sarebbe la circostanza che, nella sentenza revocanda, i giudici desumevano che il centro di interessi del contribuente fosse in Italia dal suo essere "legale rappresentante" di almeno sette associazioni o società, mentre invece, i ruoli rivestiti erano altri e non vi era la legale rappresentanza. In buona sostanza si afferma che la sentenza in revocazione avrebbe accertato che si trattava di posizioni di rilievo all'interno dei sodalizi, pur in assenza della legale rappresentanza ed ha, quindi, rigettato la revocazione, perché non si era in presenza di un errore percettivo, ma di una imprecisa indicazione, sebbene desse atto della sussistenza dell'imputazione di interessi in Italia, quanto meno a fini fiscali.
Il motivo è infondato.
Nella sentenza della CTR impugnata in revocazione non si riscontra alcun errore percettivo, poiché essa non è stata fondata su un fatto la cui verità è incontestabilmente esclusa - ossia quello di non essere il contribuente legale rappresentante di diverse società con sede in Italia - ma sulla non decisività di quel fatto.
E, per questo, la sentenza che ha definito il giudizio di revocazione non doveva svolgere alcuna prova di resistenza, risultando per tabulas che il contribuente, benché privo di legale rappresentanza, abbia effettivamente gerito o comunque fosse a lui riferibile la governance di diversi sodalizi, da cui ha anche ricavato reddito.
Non trattandosi di errore revocatorio, ma di diverso apprezzamento della realtà processuale, il motivo di ricorso non merita accoglimento.
Il ricorso per revocazione è quindi infondato e dev'essere rigettato.
3. Non di meno, con memoria depositata dal contribuente in prossimità dell'udienza il viene eccepito il giudicato esterno formatosi a seguito della pronuncia di CTR Lombardia- Milano n.3869/2017 che, decidendo l'impugnazione di altri avvisi di accertamento riferiti agli anni 2009, 2010 e 2011, promossi dall'Ufficio a seguito dell'istanza di rimborso, aveva definitivamente statuito l'insussistenza del domicilio fiscale in Italia. L'eccezione è ammissibile, in quanto derivante da sentenza pronunciata nel 2017 in epoca successiva al ricorso per cassazione e, dunque, proponibile per la prima volta solo con la memoria in vista dell'udienza. L'eccezione è anche fondata, poiché si tratta dei medesimi requisiti (residenza elvetica e/o domicilio fiscale in Italia) e del medesimo anno (2009), sicché si può ritenere coperto da giudicato esterno l'accertamento relativo all'assenza di domicilio fiscale in Italia per i fini che interessano in questa sede, trattandosi di circostanza che costituisce il presupposto cognitivo di entrambi i ricorsi qui all'esame, così come di quello definito con la sentenza passata in giudicato. Occorre ribadirsi che quando due giudizi abbiano ad oggetto il medesimo negozio o rapporto giuridico ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l'accertamento compiuto in merito ad una situazione giuridica o la risoluzione di una questione di fatto o di diritto incidente su di un punto decisivo comune ad entrambe le cause o costituente indispensabile premessa logica della statuizione contenuta nella sentenza passata in giudicato precludono l'esame del punto accertato e risolto, anche nel caso in cui il successivo giudizio ha delle finalità diverse da quelle che costituiscono lo scopo ed il petitum del primo (cfr. Cass. S.U. n. 13916/2006; Cass. V, n. 16675/2011; Cass. V, n. 13152/2019).
L'eccezione di giudicato deve essere accolta ed essa si riflette dunque sui motivi del ricorso n.10281/2014.
4. Con il primo motivo di ricorso, infatti, si lamenta violazione o falsa applicazione dell'art.4 Convenzione contro le doppie imposizioni Italia Svizzera, nonché dell'art.2 del d.P.R. n.917/1986 e dell'art.43 c.c. in relazione all'art.360, comma 1, n.3 c.p.c., poiché non sarebbe stata data prevalenza al diritto convenzionale rispetto al diritto interno che, di fronte a quello, sarebbe cedevole.
Emerge dagli atti di causa che la questione portata al vaglio della CTP non è stata quella della gerarchia delle fonti, prospettata per la prima volta nel ricorso per cassazione, ma della sussistenza dei presupposti, ex art.2 d.P.R. 917/86 e art. 43 c.c. per la residenza fiscale in Italia, che non può essere esclusa dall'iscrizione all'Anagrafe Italiani Residenti all'Estero, ma dev'essere individuata mediante indizi di fatto.
Con apprezzamento di merito, insindacabile in questa sede, invero, la CTR ha ritenuto che il centro degli affari ed interessi del contribuente fosse ancora in Italia, proprio sulla scorta dei ruoli controllo a lui riferibile, ossia nella governance di diverse associazioni e società operanti in Italia, senza che rilevi in alcun modo il possesso della loro legale rappresentanza.
Con il secondo motivo di ricorso si denuncia l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio - in tesi la residenza elvetica - che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all'art.360, n.5, c.p.c. (come modificato dal comma 1, lett. b), del d.l. 22 giugno 2012 n.83).
Nella pronuncia impugnata, invero, viene più volte esaminato e considerato il fatto storico del domicilio svizzero del contribuente che, è, comunque, profilo irrilevante, poiché la residenza stessa (che non sembra sia stata provata), o il pagamento delle tasse cantonali, non affrancano il contribuente dalla residenza fiscale in Italia e dai conseguenti oneri fiscali, se viene dimostrato che vi abbia il centro dei propri interessi.
Con il terzo motivo si deduce la violazione o falsa applicazione dell'art. 111 Cost., dell'art.132 c.p.c., dell'art.118 disp. att. c.p.c. e del d. Igs. 546/1992, in relazione all'art.360, comma 1, n.3 c.p.c..
In buona sostanza vengono qui riproposte le censure contenute nei primi due motivi in parametro ai supremi principi della Carta Fondamentale e del codice di rito.
5. La dedotta eccezione di giudicato esterno formatosi sulla sentenza della CTR Lombardia - Milano n. 3869/2017 esplica effetti anche nel presente giudizio, ritenendo definitivamente accertata la residenza elvetica del contribuente e l'assenza di un suo domicilio fiscale in Italia per il periodo di imposta di cui è causa.
La sentenza qui gravata deve essere cassata e, non residuando esigenza di più alcun accertamento in fatto, il giudizio può essere definito con l'accoglimento del ricorso introduttivo del contribuente.
Il particolare andamento del giudizio e l'intervento del giudicato esterno, inducono alla compensazione integrale delle spese di lite, tanto nei gradi di merito che nella fase di legittimità.
PQM
La Corte, riunisce al giudizio n.10281/2014 RG quello rubricato al n. 13630/2015 RG; rigetta il ricorso n. 13630/2015, accoglie il ricorso n. 10281/2014 e, non residuando ulteriori necessità di accertamenti in fatto, decidendo nel merito, cassa la sentenza impugnata ed accoglie il ricorso originario del contribuente. Compensa integralmente fra le parti le spese di lite. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 115/2002 la Corte, relativamente al ricorso r.g. n. 13630/2015 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto. Così deciso il 30/04 – 18/12/2019.
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