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Estratto: “nella specie, le considerazioni svolte dalla CTR nella motivazione della sentenza, sono tali da disvelare chiaramente quale sia la ratio decidendi che l'iter logico seguito per pervenire al risultato enunciato, avendo il giudice, da un lato, disatteso il motivo di impugnazione concernente la assunta inammissibilità del ricorso introduttivo per indeterminatezza del petitum- dopo avere precisato, nella parte in fatto, che la controversia verteva su due istanze presentate dalla società contribuente di rimborso Iva non detratta sugli acquisti di autovetture”.

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Estratto: “Gli atti relativi a cessioni, anche se coattive - disposte dall'autorità giudiziaria all'esito di un procedimento di esecuzione forzata - di fabbricati o di porzioni di fabbricato strumentali che per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni di cui all'art. 10, comma 1, n. 8 ter del d.P.R. n. 633 del 1972 appartenenti a "soggetti Iva" rientrano, ai sensi dell'art. 40 del d.P.R. n. 131 del 1986 (TUR) tra le operazioni soggette ad Iva, anche se esenti, per cui, in forza del principio di alternatività Iva/imposta di registro, quest'ultima va applicata in misura fissa ai sensi dell'art. 1, comma 1, della Tariffa allegata al TUR”.

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Estratto: “deve ritenersi operante l'efficacia espansiva del giudicato esterno invocata dalla società contribuente quanto alla qualificazione dei lavori in questione quali opere di urbanizzazione primaria e secondaria di cui all'art. 4 della legge n. 847 del 1964, integrato dall'art. 44 della legge 865 del 1971, richiamato dall'art. 127-quinquies della Tabella A, parte III, del d.P.R. n. 633 del 1972 (e successivo art. 127-septies), ai fini della legittima applicazione da parte della contribuente dell'aliquota agevolata”.

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Estratto: “in tema di imposta di registro la registrazione del decreto ingiuntivo esecutivo ottenuto dal creditore per il pagamento di somme assoggettate ad IVA fruisce, in base al principio dell'alternatività sancito dall'art. 40 del DPR n. 131 dei 1986, dell'applicazione dell'imposta in misura fissa. La diversa soluzione adottata in sede di merito avrebbe trovato giustificazione ove il decreto ingiuntivo avesse riguardato somme pagate dal garante al creditore principale, nel qual caso l'aliquota da applicare sarebbe stata quella proporzionale del 3% sul valore della condanna, ai sensi dell'art. 8, comma 1, lettera b) della Tariffa, parte l, allegata ai DPR 131/1986, in quanto l'obbligo azionato con tale pretesa da un lato deriverebbe da un rapporto distinto ed autonomo da quello principale e, dall'altro, non si risolverebbe in un corrispettivo o in una prestazione soggetta ad IVA (Cass. sent. n. 20262 dei 9.10.2015; SSUU 18520/19). Nella fattispecie in esame, come già precisato, non è applicabile il principio ora esposto, in quanto non si è trattato di decreto ingiuntivo in rivalsa, bensì di decreto ingiuntivo su acquisto crediti fatturati (oltre tutto per importi superiori a quello che la società gerente aveva corrisposto alla società cedente i crediti in questione)”.

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Estratto: “In tema d'imposta di registro, alla luce del principio dell'altematività con l'IVA, gli atti sottoposti, anche solo teoricamente, perché di fatto esentati, a quest'imposta non debbono scontare quella proporzionale di registro. In particolare, poiché secondo ali artt. 5, comma 2, del d.P.R. n. 131 del 1986, e 1, lettera b), dell'allegata tariffa, parte seconda, sono sottoposte a registrazione in caso d'uso, e scontano l'imposta in misura fissa, le scritture private non autenticate contenenti disposizioni relative ad operazioni soggette all'imposta sul valore aggiunto, fra cui le "prestazioni di servizi", nelle quali la legge sull'IVA (art. 3, comma 2, n. 3. del d.P.R. n. 633 del 1972) comprende i prestiti in denaro, questi, ancorché siano poi esentati dall'imposta stessa dal successivo art. 10, n. 1, quando possano considerarsi "operazioni di finanziamento", tuttavia, essendo in astratto soggetti non sono soggetti all'imposta proporzionale di registro".

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Estratto: “anche in materia di IVA è valido il principio, già affermato con riferimento alle imposte sui redditi, secondo il quale la dichiarazione del contribuente, affetta da errore, sia esso di fatto che di diritto, commesso dal dichiarante nella sua redazione, è - in linea di principio - emendabile e ritrattabile, quando dalla medesima possa derivare l'assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico, atteso che la dichiarazione dei redditi non ha natura di atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza e di giudizio, modificabile in ragione dell'acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti; che essa costituisce un momento dell'«iter» procedimentale volto all'accertamento dell'obbligazione tributaria; e che i principi della capacità contributiva e di buona amministrazione rendono intollerabile un sistema legislativo che impedisca al contribuente di dimostrare, entro un ragionevole lasso di tempo, l'inesistenza di fatti giustificativi. Ne consegue che detta emendabilità non può ritenersi sottoposta al limite temporale di cui all'art. 37, commi quinto e sesto, del d.P.R. n. 633 del 1972, il quale riguarda la rimozione di omissioni o la eliminazione di errori suscettibili di comportare un pregiudizio per l'erario, ma non la rettifica di dichiarazioni oggettivamente errate e quindi idonee a pregiudicare il dichiarante, anche in ragione del fatto che la negazione del diritto al rimborso determinerebbe un indebito incameramento del credito da parte dell'erario (cfr. Cass. n. 3904/2004, confr. Cass. n. 20119/2018).”

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Estratto: “la motivazione del giudice di appello, pur avendo colto la ratio dell'indennità da perdita dell'avviamento, ne stravolge la natura, laddove afferma che tale indennità ha natura corrispettiva e, quindi, sarebbe parte del contenuto sinallagmatico del negozio per il fatto che l'indennità va, da un lato, a controbilanciare l'obbligazione di facere di restituzione dell'immobile in capo al conduttore e, dall'altro, va a remunerare l'incremento di valore acquisito dall'immobile. La pronuncia stravolge il significato dell'indennità, sia perché non coglie l'aspetto causale della prestazione indennitaria, che si colloca «a valle» dello scioglimento del contratto (quando il vincolo negoziale non è più esistente), sia perché non individua la funzione tipica dell'indennità, che non è quella di remunerare una prestazione di facere (caratteristica o meno) del conduttore (come vorrebbe la Corte di merito in relazione all'obbligazione di restituzione dell'immobile), ma è quella di compensare le esternalità positive acquisite dal locatore in favore del conduttore. E' proprio questo arricchimento del locatore - e il conseguente impoverimento del conduttore scaturente dalla cessazione del contratto - che è fonte della corresponsione dell'indennità, la quale, lungi dall'essere legata al sinallagma contrattuale, da un lato trova fonte nella legge, dall'altro si colloca al di fuori del nesso sinallagmatico tra prestazione caratteristica del contratto (messa a disposizione dei locali) e corrispettivo (canone), costituendo condizione dell'azione esecutiva di rilascio.”

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Estratto: “In tema di sanzioni per violazioni delle disposizioni in materia doganale, l'art. 303 del d.P.R. n. 43 del 1973, n. 43, applicabile ratione temporis, contempla un'unica fattispecie sanzionatoria, non prevedendo, invero, al comma 3, una fattispecie legale diversa rispetto a quella di cui al primo comma, ma configurandone una mera circostanza aggravante (…) nella specie, la CTR ha erroneamente applicato la sanzione in oggetto a fattispecie dalla stessa non contemplata, in quanto riguardante un omesso versamento d'IVA (da parte della c.d. «cartiera»).”

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Estratto: “con riferimento agli acquisti intracomunitari, il principio fondamentale di neutralità dell'I.v.a. esige che la detrazione dell'imposta a monte sia accordata, nonostante l'inadempimento di taluni obblighi formali, se sono soddisfatti tutti gli obblighi sostanziali, di cui le violazioni formali non impediscano la prova certa, sicchè il diritto alla detrazione non può essere negato nei casi in cui, pur non avendo l'operatore nazionale applicato la procedura d'inversione contabile (reverse charge) ed in particolare avendo omesso la doppia registrazione delle fatture integrate o autofatture nei registri di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 23 e 25, è, comunque, dimostrato, o non controverso, che gli acquisti siano fatti da un soggetto passivo i.v.a. e che le merci siano finalizzate a proprie operazioni imponibili (cfr. Cass. 9 marzo 2016, n. 4612; Cass. 14 aprile 2015, n. 7576”.

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Estratto: “in tema di IVA, l' art. 19, primo comma, del d. P. R. 26 ottobre 1972, n. 633, consentendo al compratore di portare in detrazione l'imposta addebitatagli a titolo di rivalsa dal venditore quando si tratti di acquisto effettuato nell'esercizio di impresa, presuppone, oltre alla qualità di imprenditore dell'acquirente - qualità nel caso che occupa incontroversa - l'inerenza del bene acquistato all'attività imprenditoriale, intesa come strumentalità del bene stesso. Su queste basi, il diritto del cessionario di beni alla detrazione di cui agli art. 19 del d. P. R. n. 633 del 1972 si fonda in senso assorbente sull'esatto adempimento degli obblighi di fatturazione e di registrazione di cui agli artt. 21, 23, 24 e 25 del citato d.P.R”.

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