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Le divergenze rispetto agli studi di settore devono essere significative anche se l’Ufficio ha operato una rettifica ex art. 39 D.P.R. 600 del 1973. Confermata la sentenza che ha annullato l’avviso.

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Estratto: “le significative divergenze non possono ricavate da precise soglie quantitative fisse di scostamento, ma comportano una valutazione multifattoriale (situazione economica e storia commerciale del contribuente, situazione del mercato e del settore di operatività) non disgiunta da opportuni termini di raffronto”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Ordinanza n. 16259 del 18 giugno 2019

RILEVATO che:

l'Agenzia delle Entrate ricorre avverso la sentenza n. 57/11/12, depositata in data 29/6/2012, con la quale la CTR della Puglia ha confermato la pronuncia del giudice di primo grado avente ad oggetto la rideterminazione del reddito d'impresa accertato nei confronti della R. S.r.l., per gli esercizi relativi agli anni 2004-2005-2006; in particolare, per quanto di interesse, la CTR ha fondato la pronuncia oggetto di impugnativa sui seguenti presupposti: a) l'art. 39, 1° comma, del d.P.R. n. 600/73, attribuisce, per la rettifica del reddito (da parte dell'Ufficio), preminente rilievo ai dati indicati nelle dichiarazioni rese dal contribuente, che vanno comparati con altri elementi con essi contrastanti, desumibili anche dalle presunzioni di cui all'art. 2729 c.c., dotate dei requisiti della gravità, precisione e concordanza; b) la quantificazione analitica dei maggiori ricavi accertati non può avere come presupposto il semplice scostamento tra quanto dichiarato dal contribuente e le risultanze dello studio di settore, atteso che l'accertamento di cui all'art. 39, 1° comma, del d.P.R. n. 600/73, non può operare in presenza di semplice scostamento, non significativo, tra i ricavi dichiarati e quelli desumibili dall'applicazione degli studi di settore; c) l'Ufficio non avrebbe esplicitato le valutazioni che a seguito dell'esperito contraddittorio lo hanno condotto a ritenere attribuibili i maggiori ricavi contestati; avverso tale sentenza, ricorre l'Agenzia delle Entrate, affidandosi ad un unico motivo. La R. S.r.l., ritualmente intimata, non si è costituita in giudizio.

CONSIDERATO che:

1. con l'unico motivo dedotto viene denunciata in relazione all'art. 360, comma 1°, n. 3, c.p.c., la violazione dell'art. 39, 1° comma, lett. d), del d. P.R. n. 600/73, e dell'art. 2697 c.c., per avere la CTR errato nel ritenere che l'Ufficio non possa motivare gli accertamenti in rettifica sulla base di una semplice incongruenza tra ricavi, compensi, corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, considerato, anche, che l'accertamento in questione non è stato basato sullo studio di settore, come erroneamente ritenuto dal giudice d'appello, bensì fondato su presunzioni semplici, gravi, precise e concordanti;

2. il motivo è infondato;

3. il "thema decidendum" consiste nello stabilire quali siano i presupposti in presenza dei quali l'amministrazione è legittimata ai sensi del predetto art. 39 del d.P.R. n. 600/73, ad emettere l'avviso di accertamento in rettifica, ed in particolare, se tra detti presupposti debba essere annoverata una grave incongruenza tra i ricavi dichiarati dal contribuente e quelli desumibili dagli studi di settore;

4. sul punto il Collegio ritiene di condividere e dare continuità ai principi affermati da una recente pronuncia di questa Corte (Cass. n. 8855/2019), secondo la quale, a seguito della sentenza della CGUE/648/2018, è consentito accertare, ai fini IVA, gli effettivi ricavi del contribuente a fronte di gravi incongruenze tra i redditi dichiarati ed i redditi stimati sulla base di studi di settore;

5. di conseguenza, poiché il principio di proporzionalità, evocato dalla CGUE, opera nel diritto interno anche per le imposte dirette, quale corollario del principio costituzionale di capacità contributiva, e ricorre sostanziale parallelismo accertativo tra imposizione sui redditi e sul valore aggiunto, la sussistenza di divergenze significative caratterizza anche l'applicazione caratterizza anche l'applicazione degli studi di settore per l'accertamento delle imposte;

6. peraltro, anche, in base alla normativa nazionale sugli studi di settore, il requisito delle "gravi incongruenze" è tuttora richiesto espressamente;

7. infatti, l'art. 62 comma 3 sexies d.l. 331/1993, tuttora vigente, contiene ancora il riferimento alle "gravi incongruenze", atteso che menziona espressamente, tra l'altro, non solo la disciplina sull'accertamento delle imposte dirette di cui all'art. 39 d.P.R. 600/1973, ma anche quella relativa all'IVA, di cui all'art. 54 d.P.R. n. 633/1972;

8. tale disposizione (concernente "attività di accertamento nei riguardi dei contribuenti obbligati alla tenuta delle scritture contabili") prevede che "Gli accertamenti di cui agli artt. 39, primo comma, lettera d), d.P.R. 600/1973, e 54 d.P.R. 633/1972, e successive modificazioni, possono essere fondati anche sull'esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell'art. 62 bis del presente decreto";

9. tale conclusione, è, ulteriormente, corroborata dall'art. 10, comma 1, della legge n. 146/1998 ("modalità di utilizzazione degli studi di settore in sede di accertamento") che, dopo le modifiche di cui all'art. 1 comma 23 della legge 296/2006, in vigore dall'1/1/2007, ai sensi dell'art. 1, comma 24 della stessa legge, continua a fare riferimento all'art. 62 sexies d.l. n. 331/1993, e quindi, anche, alle "gravi incongruenze" ("Gli accertamenti basati sugli studi di settore, di cui all'articolo 62 sexies del d.l. 331/1993 , sono effettuati nei confronti dei contribuenti con le modalità di cui al presente articolo, qualora l'ammontare dei ricavi o compensi dichiarati risulta inferiore all'ammontare dei ricavi o compensi determinabili sulla degli studi stessi"), e dal comma 4 bis del citato articolo 10 della legge n. 146/1998, che ribadisce l'applicabilità della disciplina di accertamento sia alle imposte dirette che all'iva, mediante il richiamo all'art. 39, primo comma, lett. d), del d.P.R. n. 600/1973, ed all'art. 54 del d.P.R. n. 633/1972;

10. sulla base di tali riferimenti normativi, emerge, pertanto, che non essendovi stata abrogazione dell'art. 62 sexies, comma 3, d.l. 331/1993, che richiama tuttora le "gravi incongruenze", da parte dell'art. 1, comma 23, I. n. 296/2006, che ha modificato l'art. 10, co. 1, I. n. 146/1998, le significative divergenze devono sussistere anche per gli avvisi notificati da 1° gennaio 2007, come quello che occupa, notificato nel 2009;

11. va, infine, rilevato che, le significative divergenze non possono ricavate da precise soglie quantitative fisse di scostamento, ma comportano una valutazione multifattoriale (situazione economica e storia commerciale del contribuente, situazione del mercato e del settore di operatività) non disgiunta da opportuni termini di raffronto (art.2, co.1 - lett. a) - b), d.P.R. n. 570/1996, in tema d'inattendibilità della contabilità per scostamenti superiori al 10%);

12. risultano, infine, inammissibili le censure dedotte in riferimento all'art. 2697 c.c., atteso che le stesse chiedono, sostanzialmente, un riesame nel merito della vicenda processuale, ciò che esula dal potere di valutazione del giudice di legittimità che, attiene, invece, al controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, e di verificarne l'attendibilità e la concludenza;

13. per quanto precede il ricorso va rigettato, mentre la mancanza di attività defensionale da parte del controinteressato esime il Collegio dal pronunciare sulla regolamentazione delle spese del giudizio. Nulla è dovuto per “doppio contributo” trattandosi di P.A. con difesa erariale.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso in epigrafe. Così deciso in Roma, nell'adunanza camerale del 14.02.2019.

 

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