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Inammissibile il ricorso dell’Agenzia delle Dogane in caso di c.d. “doppia conforme”: entrambe le sentenze di merito davano ragione al contribuente e l’Agenzia non ha dimostrato che il contribuente vinse per ragioni diverse.

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Estratto: “secondo l'orientamento già espresso da questa Corte, nell'ipotesi di "doppia conforme" prevista dal quinto comma dell'art. 348-ter cod. proc. civ., il ricorrente in cassazione, per evitare l'inammissibilità del motivo di cui all'art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell'appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Ordinanza n. 19220 del 17 luglio 2019

rilevato che:

la sentenza impugnata ha esposto, in punto di fatto, che: l'Agenzia delle dogane aveva notificato a C. s.r.l. (di seguito C. s.r.l.) un avviso di accertamento per maggiore Iva all'importazione, oltre interessi e sanzioni, relativamente agli anni di imposta 2009 e 2010, avendo rilevato che i beni importati (pannelli fotovoltaici) non erano destinati alla diretta installazione, ma erano stati rivenduti alla T. s.r.I., sicchè non correttamente la società contribuente aveva applicato l'Iva agevolata del dieci per cento, dovendo invece applicare l'Iva ordinaria; avverso il suddetto atto impositivo la società contribuente aveva proposto ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Siracusa, che lo aveva accolto; avverso la pronuncia del giudice di primo grado l'Agenzia delle dogane aveva proposto appello; la Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione staccata di Siracusa, ha rigettato l'appello, in particolare ha ritenuto che: ai fini della decisione, occorreva valutare quale fosse l'effettiva attività svolta dalla società contribuente; dall'atto costitutivo e dallo statuto della società si evinceva che la stessa svolgeva attività di realizzazione, conduzione e manutenzione di impianti per la produzione e la trasformazione dell'energia elettrica; dall'esame del contratto stipulato tra C. s.r.l. e T. s.r.l. si evinceva che la stessa assumeva il ruolo di contraente generale, in forza del quale stipulava contratti con altri soggetti per la realizzazione dell'opera, assumendo la responsabilità anche della fornitura di tutti i materiali, i lavori, gli equipaggiamenti ed i servizi generali per la realizzazione dell'opera, potendo delegare parte della realizzazione dei lavori a subcontraenti o altre aziende specializzate; dalla documentazione in atti si evinceva che C. s.r.l. si era avvalsa dell'opera di altri soggetti per installare i pannelli acquistati; a conferma della considerazione espressa vi erano anche le risultanze della pronuncia del tribunale penale da cui poteva evincersi che la società contribuente non si era limitata alla mera fornitura del materiale acquistato, ma aveva provveduto all'installazione in un impianto fotovoltaico; dichiarava assorbite le ulteriori questioni;

considerato che:

con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti; in particolare, viene evidenziato che la sentenza non ha preso in considerazione la circostanza, dedotta nell'atto di appello, che nella descrizione del prodotto oggetto di compravendita, riportato in tutte le fatture, era unicamente riportata la dicitura "acquisto di pannelli fotovoltaici policristallini", senza che fosse stato fatto riferimento ad una eventuale installazione degli stessi da parte della società contribuente, nonché il fatto che le suddette fatture facevano riferimento a specifiche clausole contrattuali che attenevano espressamente alla vendita dei pannelli fotovoltaici e non ad una immediata installazione; il motivo è inammissibile; sebbene non espressamente indicato nella rubrica del presente motivo di censura, lo stesso va ricondotto nell'ambito della previsione di cui all'art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., avendo parte ricorrente censurato la sentenza per non avere esaminato il fatto, ritenuto decisivo, circa l'esatto contenuto delle fatture emesse dalla contribuente; va quindi osservato che alla fattispecie in esame si applica la previsione di cui all'art. 348-ter, comma quinto, cod. proc. civ., atteso che risulta dagli atti che il giudizio di appello è stato depositato in data 4 novembre 2013, quindi introdotto in data successiva all'il settembre 2012, come disposto dall'art. 54, comma 2, del decreto-legge n. 83/2012; la previsione in esame dispone che la disposizione di cui al quarto comma, relativa ai limiti di ricorso in cassazione per i motivi di cui all'art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., trova applicazione anche per il ricorso in cassazione avverso la sentenza di appello che conferma, per le stesse ragioni di fatto, la decisione di primo grado; il giudice del gravame, invero, ha statuito sulla questione confermando la decisione del giudice di primo, avendo accertato, in fatto, che la società contribuente svolgeva attività non di mero acquisto di pannelli fotovoltaici, ma anche di successiva installazione in un impianto fotovoltaico; secondo l'orientamento già espresso da questa Corte, nell'ipotesi di "doppia conforme" prevista dal quinto comma dell'art. 348-ter cod. proc. civ., il ricorrente in cassazione, per evitare l'inammissibilità del motivo di cui all'art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell'appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. civ., 15 maggio 2019, n. 13040; Cass. civ., n. 26774/2016; Cass. civ. n. 5528/2014); nell'articolare il presente motivo di ricorso la ricorrente non ha dimostrato che le ragioni di fatto addotte dai giudici di merito siano diverse, incorrendo, in tal modo, nella non utilizzabilità del motivo di censura in esame configurata dal sopra citato art. 348-ter, cod, proc. civ.; con il secondo motivo si censura la sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell'art. 16, comma 2, d.P.R. n. 633/1972 nonché della Tabella A, parte III, punti 127-quinquies e sexies, d.P.R. n. 633/1972 e della nota 1072 della Tariffa doganale, per non avere rilevato che la società contribuente non si era

conformata agli obblighi che imponevano la corretta compilazione della dichiarazione doganale di importazione, inserendo il codice CADD nel campo 33, indicando in tal modo la destinazione d'uso del bene, necessaria al fine di potere godere dell'agevolazione; il motivo è inammissibile; lo stesso, invero, prospetta una ragione di censura alla sentenza impugnata senza osservare il principio di specificità, non avendo riprodotto in questa sede l'avviso di accertamento da cui evincere che la questione in esame era stata posta a fondamento della pretesa impositiva fatta valere; il mancato rispetto del principio di specificità non consente a questa Corte di apprezzare la rilevanza della questione; in conclusione, il primo e secondo motivo sono inammissibili, con conseguente rigetto del ricorso e condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente.

P.Q.M.

La Corte: rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio che si liquidano in complessive euro 8.000,00 oltre spese forfettarie nella misura del quindici per cento e accessori. Deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta sezione

 

 

Civile Ord. Sez. 5 Num. 19218 Anno 2019 Presidente: PERRINO ANGELINA MARIA Relatore: TRISCARI GIANCARLO Data pubblicazione: 17/07/2019

rilevato che: la sentenza impugnata ha esposto, in punto di fatto, che: Giuseppe Misino aveva versato la somma di lire 15.807.000, in data 21 giugno 1993, a titolo di ravvedimento operoso per l'Iva dovuta nell'anno di imposta 1992; constatato che non avrebbe potuto accedere alla procedura agevolativa in quanto non applicabile stante l'attivazione delle operazioni di verifica, aveva provveduto a pagare l'Iva richiesta con il successivo avviso di rettifica parziale per un importo di lire 9.046.000; in data 11 febbraio 1997, il contribuente aveva presentato istanza di rimborso degli importi erroneamente versati; l'Ufficio finanziario aveva rigettato l'istanza di rimborso in quanto tardiva, poiché proposta oltre i termine di cui all'art. 21 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546; avverso il suddetto atto di diniego aveva proposto ricorso il contribuente, sostenendo che, nella fattispecie, doveva trovare applicazione il termine ordinario di prescrizione, trattandosi di indebito oggettivo regolato dall'art. 2033 cod. civ.; la Commissione tributaria provinciale, nel contraddittorio con l'Agenzia delle entrate, aveva accolto il ricorso, ritenendo applicabile per analogia il termine per il rimborso di cui all'art. 57 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633; l'Agenzia delle entrate aveva proposto appello; la Commissione tributaria regionale della Puglia ha rigettato l'appello, avendo ritenuto che l'art. 21 del decreto legislativo n. 546/1992 trova applicazione solo nelle ipotesi di rimborso di crediti riferibili a esistenti rapporti tributari intercorrenti, a qualsiasi titolo, tra l'amministrazione finanziaria e il contribuente, mentre l'ipotesi in esame rientrava nell'ambito di applicazione dell'indebito oggettivo, di cui agli artt. 2033 e ss., cod. civ., in quanto il contribuente aveva erroneamente ritenuto di dovere assolvere ad una obbligazione tributaria che, tuttavia, non esisteva perché al di fuori di un rapporto tributario sottostante;

l'Agenzia delle entrate ricorre con unico motivo per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia in epigrafe; l'intimato non si è costituito; questa Corte ha ordinato la rinotificazione del ricorso nei confronti di Giuseppe Misino e, in esito all'esecuzione della stessa, è stata fissata l'udienza; considerato che: il ricorso è inammissibile; va precisato che questa Corte, a seguito di riconvocazione del 27 novembre 2018, ha dichiarato la nullità della notifica del ricorso e disposto il rinnovo della medesima nei confronti di Giuseppe Misino ai fini della regolare instaurazione del contraddittorio, in considerazione del fatto che, essendo stata la notifica del ricorso eseguita dal difensore della ricorrente a mezzo del servizio postale, non era dato evincere dalla documentazione prodotta che, una volta consegnato il plico alla segretaria, si era poi provveduto all'invio della successiva raccomandata informativa; nel rinnovare la notificazione, l'Agenzia delle entrate ha trasmesso il ricorso all'indirizzo di posta elettronica certificata del difensore costituito in appello, sebbene fosse ormai decorso oltre un anno dalla pubblicazione della sentenza impugnata, avvenuta il 18 ottobre 2010, in violazione dell'art. 330, ultimo comma, cod. proc. civ.; invero, la previsione normativa citata, che dispone che "quando manca la dichiarazione di residenza o l'elezione di domicilio e, in ogni caso, dopo un anno dalla pubblicazione della sentenza, l'impugnazione, sé è ancora ammessa dalla legge, si notifica personalmente a norma degli articoli 137 e seguenti", infatti, si applica anche in caso di rinnovazione, disposta ai sensi dell'art. 291, comma primo, cod. proc. civ., della notificazione dell'im ugnazione affetta da nullità (Cass., Sez. U. 1 febbraio 2006, n. 219; 3

la pronuncia di inammissibilità è da ricollegare al fatto che la rinnovazione è stata, sì, eseguita nel termine, ma in modo nullo, senza essere stata seguita da altra notificazione valida prima che il ricorso sia preso in esame; questa Corte, peraltro, ha precisato che, se la nullità della notificazione in rinnovazione è rilevata e dichiarata, non può disporsi un'ulteriore rinnovazione, essendo esclusa a norma dell'art. 162, comma primo, cod. proc. civ., in quanto, quando la nullità sia stata dichiarata una prima volta e il giudice abbia ordinato la rinnovazione, la natura perentoria del termine non consente che, per il compimento della medesima attività, cioè per il compimento di una notificazione valida (Cass. civ., 31 luglio 2018, n. 20255; 20 gennaio 2015, n. 857; 12 gennaio 2007, n. 436; 1 luglio 2005, n. 14042), possa essere assegnato un nuovo termine, tenuto conto del fatto che l'art. 153, cod. proc. civ., vieta la proroga dei termini perentori, nemmeno sull'accordo delle parti, salvo che si prospettino i presupposti per la rimessione in termini contemplati dal comma secondo di questa norma; non si pone in frizione con quest'orientamento l'indirizzo secondo cui la notificazione fatta al procuratore dell'atto di integrazione del contraddittorio in cause inscindibili, ai sensi dell'art. 331, cod. proc. civ., qualora sia decorso oltre un anno dalla data della pubblicazione della sentenza, dà luogo a una nullità sanabile, ai sensi dell'art. 160, cod. proc. civ., con conseguente operatività dei rimedi della rinnovazione o della sanatoria, in quanto si sarebbe al cospetto di una mera violazione di della prescrizione in tema di forma, e non già di una impossibilità di riconoscere nell'atto la rispondenza al modello legale della categoria ( Cass., Sez. U., n. 2197/06, cit.; Cass. civ., 26 giugno 2009, n. 15050; Cass. civ., 26 settembre 2017, n. 23341; Cass. civ., 16 febbraio 2018, n. 3816); infatti, non v'è, nel caso della rinnovazione della notificazione di cui si discute il compimento della medesima attività, giacché diverso è il contenuto dell'ordine del giudice: d'integrazione del

contraddittorio, in prima battuta, di rinnovazione della notificazione nulla in seconda; nulla sulle spese, in mancanza di attività difensiva; P.Q.M. La Corte: dichiara inammissibile il ricorso. Deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta sezione.

 

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