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Comunicazione per avvocati. Articolo di Michele Bresciani. “La comunicazione non verbale. La nostra postura influenza il nostro comportamento in aula?” Featured

Scritto da Avv. Federico Pau e Michele Bresciani
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Qualche settimana fa ho intervistato Michele Bresciani, autore di libri dedicati alla comunicazione, docente in corsi riguardanti l’ambito della comunicazione persuasiva. Dai tanti spunti affiorati nel corso delle chiacchierate con Michele, che mi hanno incuriosito oltre che colpito, emerge questa serie di articoli, in cui Michele, pensando proprio a noi avvocati, ci racconterà degli aneddoti e condividerà alcune riflessioni, che possono spingerci ad osservare meglio degli aspetti comunicativi utili per gli avvocati. L'articolo di oggi è intitolato: "La comunicazione non verbale. La nostra postura influenza il nostro comportamento in aula?"

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Prima di esaminare nel concreto il testo del contributo, se è la tua prima volta qui, ecco

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Ma ora, la parola a Michele:

“Forse non abbiamo bisogno di neuroscienziati eccellenti per comprendere in modo intuitivo che una persona triste, impaurita o preoccupata tenda spesso a prendere posture “chiuse”. Gambe accavallate, sguardo basso, mani nascoste nelle tasche, braccia conserte… e tutto il campionario possibile delle posizioni di difesa.

Ma lo studio di Amy Cuddy, frutto di una ricerca della Harvard University e magistralmente esposta in uno dei Ted Talk più visti di sempre, ci racconta un punto di vista opposto: se partiamo dalla postura e assumiamo posizioni “aperte” cambia non solo il messaggio che comunichiamo, ma soprattutto cambia “chi siamo” nel senso più tecnico possibile: si modifica la nostra biologia corporea.

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Andiamo però con ordine, perché quello che emerge dallo studio può essere molto interessante nel lavoro forense.

Nell’esperimento citato divisero i partecipanti in due gruppi. Al primo gruppo chiesero di assumere per un certo tempo posizioni chiuse, senza fare nulla di più. Al secondo gruppo chiesero di assumere per lo stesso tempo posizioni aperte, espanse, di fiducia (sguardo alto, mani in vista, appoggio forte sulla poltrona o sul pavimento, etc.).

Poi gli fecero lasciare un campione di saliva e rispondere ad alcune domande generiche che vertevano sulla propria fiducia e autostima.

Dopo solo pochi minuti in cui i partecipanti del secondo gruppo avevano mantenuto posizioni di fiducia il loro livello di testosterone era aumentato del 20% e il loro livello di cortisolo era sceso del 25%. Le risposte al questionario testimoniavano una maggiore fiducia in sé stessi e una maggiore propensione al rischio.

Risultati diametralmente opposti invece per il secondo gruppo: anche la loro fisiologia cambiava, ma spingendoli ad essere meno sicuri e meno amanti del rischio.

Ad ulteriore rinforzo di questo test misurarono un secondo campione di saliva dopo un quarto d’ora dalla fine dell’esperimento: pur se in percentuali inferiori l’effetto di quelle posture era ancora testimoniato dalle variazioni ormonali attive.

 

E’ facile intuire a questo punto la portata di questo studio per la vita quotidiana e per la propria attività professionale. Tutti comunichiamo, sempre. In parte lo facciamo con le cose che diciamo e in parte con quello che esprimiamo attraverso altri linguaggi (ad esempio il nostro corpo, il modo in cui occupiamo uno spazio, i segnali che ci precedono, i vestiti che usiamo, la fermezza della nostra voce e naturalmente…. la coerenza tra tutti questi elementi)

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Pensaci: il 20% di variazione ormonale dopo 2 minuti di postura aperta. Come sarebbe entrare in aula con quella forza?

Nei casi che dibatti ovviamente il successo dipende da molti fattori e non basta alzare lo sguardo per vincere una causa. Ma assumere una posizione di forza e di fiducia cambia la tua biologia, e puoi sfruttare questo cambiamento per ottenere determinati risultati.

Non solo, ma se occupi più spazio fisico in qualsiasi contesto in cui ti relazioni agli altri sul lavoro, la percezione che avranno su di te cambierà e ti riconosceranno come persona solida e forte della sua posizione, un soggetto alfa.

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Cambia tutto: cambi tu, cambia il modo in cui ti percepiscono e forse può cambiare anche l’esito del tuo lavoro. Vale certamente la pena di fare un piccolo test.

E se hai il dubbio che tutto questo non sia applicabile al tuo lavoro, forse vale la pena di ricordare che poche professioni come l’avvocatura richiedono una tale consapevolezza del proprio equilibrio di forza rispetto agli altri.

Qualsiasi strumento che possa sviluppare la propria sensibilità in questo senso è sicuramente utile, anche se l’esperimento di Harvard non è stato condotto all’interno della facoltà di legge.

A presto con un altro spunto di riflessione su comunicazione e persuasione nel lavoro forense! Michele Bresciani”.

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Ringrazio Michele per questo interessante spunto di riflessione, da tenere a mente alla prossima udienza.

 

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