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Quando è possibile l'accertamento ai soci?
Nel momento in cui si procede con la verifica fiscale nei riguardi di una società di capitali a ristretta base proprietaria (società composte da un numero ridotto di partecipanti spesso legati tra loro da vincoli familiari), e questa finisce con l'evidenziare la presenza di maggiori ricavi rispetto a quelli riportati nella dichiarazione, si ha non solo l’accertamento di maggiori ricavi a carico della relativa società, ma anche, di conseguenza, una pretesa impositiva – per presunti utili extrabilancio – nei confronti dei soci (in forza di una presunzione di distribuzione dell’utile extracontabile sottratto a imposizione).
A tal proposito, giova richiamare casi giurisprudenziali che ci permettono di avere un quadro più completo e chiaro della tematica in oggetto.
A tal proposito, la giurisprudenza con ordinanza n. 10208 del 27/04/2018 ha affermato che: "solo il carattere definitivo del giudizio nei confronti della società, consentirebbe di agire nei confronti dei soci, per la presunta distribuzione di utili extracontabili; il giudizio, per contro, deve essere sospeso in attesa della definizione di quello nei confronti della società".
Ed ancora, in linea di principio, pertanto, da talune pronunce sembrerebbe occorra che “l'accertamento venga effettuato in capo alla società e poi successivamente è possibile estenderlo a carico dei soci per una presunta distribuzione di utili” (Cassazione- ordinanza n. 11680/2016).
Rilevante è anche quanto definito con la sentenza Cassazione n. 441/2013, la quale ha individuato alcuni principi in merito alla presunzione di distribuzione di utili occulti ai soci affermando che “ove il reddito nei confronti della società risulti accertato in maniera definitiva, i giudizi nei confronti dei soci, per quanto attiene all’esistenza di utili extra contabili realizzati dalla società, è pregiudicato dall’esito dell’accertamento effettuato nei confronti della società stessa”.
Nuovamente lo scorso anno la Cassazione, con l’ordinanza n. 30964, depositata il 29 novembre 2018, ha disposto la sospensione dell'accertamento nei confronti del socio in base al seguente fondamento logico-giuridico: "accertamento tributario nei confronti della società costituisce un indispensabile antecedente logico-giuridico di quello nei confronti dei soci, in virtù dell’unico atto amministrativo da cui derivano entrambe le rettifiche. Nel caso di società di capitali, non ricorre l’ipotesi del litisconsorzio necessario, come avviene nei giudizi che riguardano società di persone e soci delle stesse. In ogni caso, l’accertamento contenuto in un atto impositivo non definitivo o in una sentenza non passata in giudicato non incide sulla operatività della presunzione di distribuzione di tali utili fra i soci, bensì sulla individuazione dell’oggetto di tale distribuzione, cosicché la causa relativa all’accertamento dei redditi non dichiarati della società viene a trovarsi in rapporto di pregiudizialità. Da qui la necessità di sospendere il giudizio del socio in attesa che diventi definitivo quello della società".
Già in precedenza la sentenza n. 20870 dell’8.10.2010 così afferma: “È vero infatti che perché la presunzione semplice di attribuzione ai soci degli utili extracontabili accertati possa operare occorre non solo che la ristretta base sociale e/o familiare - cioè il fatto noto alla base della presunzione - abbia formato oggetto di specifico accertamento probatorio ma anche che sussista un valido accertamento a carico della società in ordine ai ricavi non contabilizzati, il quale costituisce il presupposto per l’accertamento a carico dei soci in ordine ai dividendi.”
Attenzione, ai sensi degli artt. 7 L. 212/2000 e del 42 DPR 600/1973, in linea di principio all’atto di accertamento notificato al socio deve essere allegato quello emesso a carico della società di capitali, a pena di nullità dello stesso, per rendere conoscibile al socio le motivazioni del suo accertamento, e se tale obbligo non è rispettato è possibile proporre ricorso in Commissione Tributaria per demandare l’annullamento dell’avviso ricevuto.
Per evitare una doppia presunzione, ossia presunzione utili extracontabili e quella sulla distribuzione degli stessi in capo ai soci, la giurisprudenza, di recente con sent. Cass. 5925/15, ha sottolineato che "nell'ambito dell'accertamento delle imposte su redditi da capitale nei confronti di società a ristretta base sociale, la presunzione di distribuzione di utili extracontabili ai soci non viola il c.d. divieto di presunzione di II grado, in quanto il fatto noto non è costituito dalla sussistenza di maggiori redditi induttivamente accertati, ma dalla ristrettezza della stessa base sociale, dal vincolo di solidarietà e reciproco controllo dei soci".
Al riguardo la Comm. Trib. Prov. Brindisi 12.10.10 n. 171: “il principio giuridico secondo il quale, una volta determinata l’esistenza di maggiori utili in capo ad una società, può presumersi, sul presupposto della ristretta basa societaria, che gli stessi utili siano stati distribuiti ai soci, può essere applicato nelle ipotesi in cui i maggiori utili in capo alla società derivino da maggiori ricavi documentati, mentre è inapplicabile, in forza di divieto della doppia presunzione, allorché già la percezione di maggiori ricavi da parte della società si fondi su presunzioni”.
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Il socio può difendersi anche se la società ha perso o conciliato?
Il socio può difendersi anche se la società ha perso o conciliato. Tra i diversi motivi che possono essere eccepiti dal socio per contrastare un eventuale pretesa infondata avanzata nei suoi confronti che contenga solamente il richiamo dell’avviso emesso nei confronti della società, può ad esempio annoverarsi la dimostrazione che gli utili maggiori rilevati non sono stati mai da lui percepiti magari perché questi sono stati reinvestiti nella stessa società o accantonati. Ad esempio, la CTP di Napoli con la sent. 15.3.2012 n. 145 ha sostenuto le ragioni del socio il quale, al fine di difendere la sua posizione, aveva provato attraverso il deposito di estratti di c/c di non aver percepito utili.
La CTP di Sondrio, nella sentenza n. 89 del 3 maggio 2016, ha chiarito al riguardo che: "non esiste alcuna norma che preveda la diretta ed automatica imputazione dell’utile delle società di capitali (salvo il caso di opzione per il regime di trasparenza) ai soci, come invece previsto per le società di persone dall’articolo 5 del Tuir, né esiste alcuna norma che preveda che il reddito delle società di capitali possa o debba presumersi distribuito ai soci, con la conseguenza che l’onere della prova circa il maggior reddito percepito incombe sull’Ufficio".
Si riporta anche la posizione della CTR di Milano n. 46600/XII/2017, che ha avuto modo di precisare che per poter attribuire in via extracontabile utili ai soci nell'ipotesi di accertamento societario per maggiori ricavi o costi inesistenti: "l'ex socio deve necessariamente essere parte del contraddittorio della dichiarazione presentata dalla società, pena la nullità dell'atto impositivo emesso a suo carico fondato sulla presunzione di distribuzione di utili extra-contabili".
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Questi sono solo alcuni casi in cui un avviso notificato al socio con cui si contesta una presunta distribuzione di utili extracontabili potrebbe essere infondato o illegittimo. Se dovessi ritrovarti in una situazione fra quelle delineate è importante essere pronti per difendersi da una simile accusa e per ogni ulteriore e minimo dubbio è sempre consigliabile rivolgersi subito ad un professionista del settore.
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