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Presunta frode carosello. L’Agenzia delle Entrate non fornisce prove (oggettive e specifiche) della consapevolezza. Annullati tutti gli avvisi di accertamento. Agenzia condannata a rimborsare 55.000 euro di spese processuali.

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Estratto: “Dai menzionati principi di diritto si evince che, ai fini del disconoscimento della detraibilità dell'IVA in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, l'Agenzia delle entrate ha l'onere di provare, sulla base di elementi indiziari: a) la fittizietà del soggetto interposto; b) la consapevolezza del soggetto beneficiario, sulla base di elementi indiziari non limitati alla mera fittizietà del fornitore, della sussistenza di una evasione fiscale”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Ordinanza n. 8146 del 22 marzo 2019

FATTI DI CAUSA

1. Con le sentenze di cui in epigrafe la CTR del Veneto ha accolto l'appello proposto dalla T. s.p.a. (d'ora in avanti solo T.) avverso la sentenza della CTP di Vicenza, la quale aveva rigettato i ricorsi della società contribuente avverso vari avvisi di accertamento per IVA, IRPEG/IRES e IRAP, relativi agli anni d'imposta 2002, 2003, 2004, 2006, 2007 e 2008.

1.1. Come si evince dalle sentenze della CTR e dagli atti delle parti: a) gli avvisi di accertamento erano stati emessi in relazione ad un processo verbale di constatazione nei confronti della T., ritenuta responsabile di avere architettato o comunque partecipato ad una frode IVA con alcune società cd. cartiere;

b) secondo la ricostruzione dei verificatori, la società cartiera di volta in volta coinvolta (con riferimento agli anni 2002-2004, la P. s.r.I.; con riferimento agli anni 2006-2008, la G. s.r.l. e, limitatamente ad una sola operazione, la B. s.r.I.) acquistava la merce (pellami) in Australia, faceva transitare la stessa in un deposito fiscale e, quindi, la cedeva sottocosto alla T. senza poi corrispondere l’IVA regolarmente versata da quest'ultima; c) la CTP si pronunciava ora accogliendo parzialmente i ricorsi proposti dalla T., ora respingendoli; d) a fronte delle varie sentenze, le parti di volta in volta soccombenti proponevano appello alla CTR. 1.2. La CTR si pronunciava sempre favorevolmente alle tesi sostenute dalla società contribuente.

1.3. In particolare, le sentenze nn. 49, 50 e 51/30/12 evidenziavano che: a) dalla documentazione acquisita agli atti, non v'era prova «che la contribuente fosse a conoscenza degli omessi versamenti dell'IVA da parte delle società con cui la stessa ebbe rapporti commerciali»; b) inoltre, risultava pacifico che, relativamente agli anni in questione, «non venne effettuata alcuna indagine, visto che la verifica fiscale riguardò le annualità dal 2005 al 2008 e le società indicate dall'Ufficio quali interposte o cartiere» non esistevano negli anni per cui era controversia, essendo state costituite tra il 2005 e il 2007 c) la T. non poteva, pertanto, che essere estranea al disegno fraudolento prefigurato dai verificatori e, del resto, l'Agenzia delle entrate non aveva fornito sufficienti prove di tale disegno e della consapevolezza della società contribuente di effettuare operazioni con soggetti che poi avrebbero compiuto illeciti fiscali; d) inoltre, la società che parte appellante indicava come interposta (nella specie, la P. s.r.I.) non poteva essere considerata cartiera, avendo «continuato a svolgere la propria attività per anni, presentando regolarmente le dichiarazioni annuali ed indicando il proprio debito IVA».

1.4. Le sentenze nn. 89, 90 e 91/26/13, invece, così motivavano: a) le società fornitrici di T. (tra cui G. e B.), che facevano tutte capo a tale sig. C., pur presentando regolare dichiarazione dei redditi, non avevano mai provveduto al versamento dell'IVA; b) tale circostanza non era nota a T. e, comunque, «sia dalle intercettazioni disposte in sede penale sia dalla documentazione acquisita in sede di verifica non emerge alcun elemento e alcun fatto dal quale si possa dedurre la consapevolezza di T. in ordine all'illecito che si perpetrava», tanto più che l'Agenzia delle entrate aveva omesso i controlli sulle dichiarazioni IVA per lungo tempo; c) non aveva fondamento la tesi che G. e B. praticavano a T. "prezzi vantaggiosi" "verosimilmente sottocosto", in quanto dalle verifiche eseguite era emerso «che i prezzi praticati dal C. a volte erano superiori ma a volte erano inferiori rispetto a quelli degli altri fornitori, come accade normalmente nell'andamento dei mercati» e, comunque, risultava comprovato dalle perizie prodotte che i prezzi erano in linea con quelli di mercato, non sussistendo in ogni caso il vantaggio competitivo tipico delle frodi carosello, pur tenendo in considerazione l'esistenza di vendite sottocosto; d) le società facenti capo al C. non potevano essere definite "scatole vuote", in quanto operavano effettivamente nel settore del commercio delle pelli fornendo anche altri clienti, come si evinceva dalle indagini espletate in sede penale, sicché il semplice mancato versamento dell'IVA non era sufficiente a dimostrarne la fittizietà.

2. Avverso le superiori sentenze della CTR, l'Agenzia delle entrate proponeva altrettanti ricorsi per cassazione, affidati rispettivamente a sei motivi (ricorsi avverso le sentenze nn. 49, 50 e 51/30/12) e a tre motivi (ricorsi avverso le sentenze nn. 89, 90 e 91/26/13).

3. La T. resisteva in giudizio depositando controricorso, nonché memorie ex art. 380 bis.1 cod. proc. civ. e documenti.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Appare utile, ai fini di un'ordinata trattazione delle singole questioni, dividere la motivazione della presente sentenza in due parti: nella prima (parte A) saranno affrontate le questioni relative ai ricorsi proposti nei procedimenti R.G. nn. 27477, 27487 e 27586 del 2012, che presentano motivi comuni; nella seconda (parte B) quelle relative ai ricorsi proposti nei procedimenti R.G. n. 14255, 14263 e 14751 del 2014, anche loro articolati in motivi comuni. A) Impugnazioni proposte nei confronti delle sentenze nn. 49 1 50 e 51/30/12 (procedimenti R.G. nn. 27477, 27487 e 27586 del 2012).

2. Con il primo motivo l'Agenzia delle entrate deduce, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., insufficiente motivazione per omesso esame di un fatto decisivo costituito dalla esistenza o meno delle operazioni effettuate tra P. e T.

2.1. In particolare, si sostiene che la CTR avrebbe errato nel ritenere l'inesistenza della P. negli anni oggetto di contestazione (2002-2004), essendo stata la società costituita nel 2000, sicché la sentenza trascurerebbe di esaminare l'effettività delle operazioni compiute sul presupposto erroneo che la P. non esista.

3. Il motivo è inammissibile perché non coglie la ratio decidendi delle sentenze impugnate. 3.1. La CTR non ha mai affermato che la P. sia inesistente negli anni oggetto di contestazione, ma si è limitata a sostenere che, con riferimento a quegli anni di imposta, non è stata effettuata alcuna indagine da parte dei verificatori, avendo la verifica fiscale riguardato essenzialmente gli anni dal 2005 al 2008 e società interposte che, nell'anno 2002, non erano state ancora costituite (la G. s.r.l., la E. s.r.l. e la B. s.r.l., non anche la P.).

3.2. In altri termini, le sentenze impugnate non hanno mai sostenuto, come ritenuto dalla difesa erariale, che la P. non fosse esistente negli anni 2002, 2003 e 2004, ma hanno solo ritenuto che la frode descritta dai verificatori nel processo verbale di constatazione riguardasse esclusivamente la T. e soggetti diversi dalla P., costituiti in epoca successiva, non potendo pertanto trasferirsi automaticamente ai rapporti tra T. e P. le conclusioni assunte con riferimento ad altre società.

3.3. E poiché il fatto relativo alla esistenza della P. non è oggetto di contestazione, né tale è stato ritenuto dalla CTR, il motivo proposto è chiaramente inammissibile.

4. Con il secondo motivo si contesta la nullità della sentenza per ultrapetizione ex art. 112 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., non avendo la T. mai dedotto che la P. non esista, come invece ritenuto dalla CTR.

5. Il motivo è inammissibile per le stesse ragioni per cui è stato dichiarato inammissibile il precedente. 5.1. Come già chiarito, le sentenze della CTR non hanno mai affermato l'inesistenza della P. con riferimento agli anni d'imposta 2002-2004, sicché il presupposto da cui parte la ricorrente è evidentemente erroneo.

6. Con il terzo motivo di ricorso si contesta insufficiente motivazione, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., evidenziandosi che la CTR avrebbe errato nel ritenere che l'Ufficio non abbia indagato sul periodo 2002-2004, con particolare riferimento alla esistenza delle operazioni tra P. e T.

7. Il motivo è inammissibile in quanto la circostanza dedotta dall'Agenzia delle entrate è palesemente non decisiva. 7.1. L'affermazione della CTR per la quale i verificatori non hanno effettuato alcuna indagine con riferimento agli anni d'imposta oggetto di accertamento attiene essenzialmente al ruolo di "cartiera" della P. e all'inesistenza delle operazioni commerciali tra quest'ultima e la T.

7.2. Le risultanze del processo verbale di constatazione, debitamente trascritte nei vari ricorsi, provano unicamente l'intervenuta contabilizzazione delle operazioni tra T. e P. (operazioni, peraltro, mai contestate dalla società contribuente), ma non già l'inesistenza soggettiva di queste operazioni.

8. Con il quarto motivo di ricorso l'Agenzia delle entrate contesta la nullità delle sentenze per ultrapetizione ex art. 112 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., non avendo la T. mai contestato la mancata indagine dell'Ufficio sulle operazioni 2002-2004 effettuate con la P.

9. Il motivo è inammissibile. 9.1. Come esposto con riferimento al terzo motivo, la CTR non ha escluso la contabilizzazione delle operazioni intervenute tra T. e P. che, appunto, non sono oggetto di contestazione, ma ha solo escluso che i verificatori abbiano addotto validi elementi con riferimento al ruolo di "cartiera" della P. e all'inesistenza delle operazioni commerciali tra quest'ultima e la T.

9.2. La CTR non è, dunque, andata ultra petita partium, non avendo posto alla base della decisione fatti diversi da quelli non contestati.

10. Con il quinto motivo di ricorso viene denunciata, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., la illogicità della motivazione delle sentenze della CTR con riferimento alla circostanza della inesistenza delle operazioni, non avendo il giudice di appello analizzato se, in base alla natura delle operazioni e al loro ammontare, la P. avesse i mezzi per acquistare milioni di euro di pellami australiani.

11. Il motivo è infondato. 11.1. La CTR ha escluso la natura di "cartiera" della P. evidenziando che l'Agenzia non ne ha fornito la relativa prova e che la società considerata come interposta ha regolarmente presentato la dichiarazione IVA: trattasi di motivazione logica, alla quale l'Agenzia delle entrate - su cui grava il relativo onere probatorio - non ne contrappone un'altra, fondata su eventuali elementi non presi in considerazione dal giudice di appello (e dai quali dovrebbe trarsi un differente convincimento).

12. Con il sesto motivo di ricorso si deduce la violazione dell'art. 2697 cod. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., evidenziando che T. non avrebbe adottato tutte le cautele necessarie ad evitare una frode IVA, contraendo con un fornitore che, tenuto conto delle sue caratteristiche strutturali, non può dirsi esistente;

13. Il motivo resta assorbito dalla conferma della sentenza di merito in punto di esistenza soggettiva delle operazioni.

13.1. Invero, poiché l'Amministrazione finanziaria non ha fornito la prova della inesistenza soggettiva delle operazioni tra P. e T., fornendo gli elementi necessari a suffragare l'affermata natura di "cartiera" di P., è del tutto superfluo indagare se T. sia stata effettivamente a conoscenza (o avrebbe dovuto essere a conoscenza) di tale la natura e della frode IVA perpetrata ai danni dell'Erario.

14. In conclusione, i ricorsi oggetto di esame in questa parte A vanno rigettati. B) Impugnazioni proposte nei confronti delle sentenze nn. 89, 90 e 91/26/13 (procedimenti R.G. nn. 14255, 14263 e 14751 del 2014).

15. Con il primo motivo di ricorso l'Agenzia delle entrate deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 19 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in combinato disposto con l'art. 2697 cod. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., evidenziando che, con riferimento allo stato soggettivo di T., la CTR non avrebbe realmente verificato se quest'ultima fosse stata effettivamente a conoscenza della frode perpetrata da G. e da B., sulla base di una regola di ordinaria diligenza rapportata ad un operatore medio del settore. 16. Con il secondo motivo di ricorso si contesta la violazione e falsa applicazione dell'art. 2729 cod. civ. e dell'art. 54 del d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., evidenziandosi che la CTR, ai fini della prova dello stato soggettivo di T., avrebbe valutato solo alcuni elementi indiziari, trascurandone altri, e compiendo una valutazione atomistica e non complessiva dei singoli elementi indiziari forniti dall'Agenzia delle entrate.

17. Con il terzo motivo di ricorso si deduce, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, costituiti dal transito per breve tempo nel deposito fiscale, nel mancato utilizzo del plafond IVA da parte di T., nella antieconomicità del comportamento di T. (che non aveva valide ragioni per interporre G. e B.): l'esame dei suddetti elementi, decisivi ai fini della prova della consapevolezza di T. della frode perpetrata, sarebbe stato del tutto pretermesso dalla CTR. 18. I motivi sono inammissibili.

18.1. Va preliminarmente osservato che, in tema di operazioni soggettivamente inesistenti, riguardanti anche rapporti "triangolari", come quello di cui alla fattispecie, la S.C. ha recentemente affermato che: «in tema di IVA, l'Amministrazione finanziaria, la quale contesti che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell'ambito di una frode carosello, ha l'onere di provare, anche solo in via indiziaria, non solo l'oggettiva fittizietà del fornitore ma anche la consapevolezza del destinatario che l'operazione si inseriva in una evasione dell'imposta; la prova della consapevolezza dell'evasione richiede che l'Amministrazione finanziaria dimostri, in base ad elementi oggettivi e specifici non limitati alla mera fittizietà del fornitore, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l'ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l'operazione si inseriva in una evasione fiscale, ossia che egli disponeva di indizi idonei a porre sull'avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente; incombe sul contribuente la prova contraria di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un'evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi» (così Cass. n. 9851 del 20/04/2018, alla cui motivazione integralmente si rimanda).

18.2. Dai menzionati principi di diritto si evince che, ai fini del disconoscimento della detraibilità dell'IVA in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, l'Agenzia delle entrate ha l'onere di provare, sulla base di elementi indiziari: a) la fittizietà del soggetto interposto; b) la consapevolezza del soggetto beneficiario, sulla base di elementi indiziari non limitati alla mera fittizietà del fornitore, della sussistenza di una evasione fiscale.

18.3. Orbene, i motivi proposti dall'Agenzia delle entrate censurano il convincimento della CTR unicamente con riferimento alla consapevolezza di T. dell'esistenza della frode IVA, ma non si incentrano in alcun modo sulla effettiva fittizietà dei soggetti interposti, espressamente esclusa dalla CTR (cfr. più sopra il § 1.4., lett. d), della premessa).

18.4. Laddove, pertanto, è stata esclusa la fittizietà di G. e B., va escluso in radice che si possa discutere di operazioni soggettivamente inesistenti, con la conseguente inammissibilità dei motivi di ricorso, non essendovi alcun interesse della ricorrente a fare accertare la conoscenza di una frode la cui esistenza non è stata nemmeno dimostrata sotto il profilo oggettivo.

18.5. In ogni caso, anche a volere diversamente ritenere, assumendo che la questione circa la fittizietà di G. e B. sia stata comunque dedotta con il secondo e terzo motivo di ricorso, non viene per questo meno la valutazione di inammissibilità.

18.5.1. I menzionati motivi tendono chiaramente ad una rivalutazione del merito della controversia, preclusa in sede di legittimità (ex multis, Cass. n. 29404 del 07/12/2017), essendo tutte le varie questioni prospettate puntualmente considerate dalla CTR alla quale, comunque, «spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge» (Cass. n. 19547 del 04/08/2017); e la scelta degli elementi indiziari rilevanti è stata compiuta dal giudice d'appello con motivazione non solo ontologicamente sussistente, ma anche logicamente coerente.

18.5.2. In particolare, non sussiste la violazione dell'art. 2729 cod. civ., denunciata con il secondo motivo, in quanto la predetta disposizione è stata correttamente applicata dalla CTR; ed il terzo motivo è chiaramente inammissibile anche in ragione della nuova formulazione dell'art 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., applicabile ratione temporis (cfr. Cass. S.U. n. 8053 del 07/04/2014: «la riformulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione»).

18.6. Poiché il secondo e il terzo motivo, anche nella parte in cui tendono a mettere in discussione l'accertamento della CTR in ordine alla soggettiva inesistenza delle operazioni contestate, è del tutto superfluo discutere della consapevolezza della società controricorrente: con la conseguenza che l'esame del primo motivo diventa irrilevante.

19. In conclusione, anche i ricorsi oggetto di esame in questa parte B vanno rigettati. C) Sulle spese. 20. Poiché l'Agenzia delle entrate è rimasta soccombente in tutti i giudizi riuniti, la stessa va condannata al pagamento delle spese di lite in favore della T., liquidate come in dispositivo avuto conto del valore delle singole controversie e della ripetitività delle questioni affrontate.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, che si liquidano in euro 55.000,00, oltre spese forfetarie, nella misura del quindici per cento, ed agli accessori di legge. Così deciso in Roma il 24 ottobre 2018 e il 5 febbraio 2019, a seguito di riconvocazione

 

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