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Se l’Agenzia non indica nel proprio atto il termine per l’impugnazione e/o il giudice presso cui proporla, poi non può contestare la tardività del ricorso. Confermata la sentenza favorevole per il contribuente. Agenzia condannata a pagare le spese. Featured

Scritto da Avv. Federico Pau
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Estratto: “con riferimento all'omessa indicazione, negli atti impositivi, delle informazioni relative al termine entro cui il destinatario può proporre impugnazione e all'autorità giurisdizionale dinanzi alla quale il ricorso può essere proposto, deriva la necessità di procedere ad una necessaria distinzione tra il piano, meramente formale, degli effetti sulla validità dell'atto, da quello, più propriamente processuale, del termine entro cui il ricorso può essere proposto, ai sensi dell'art. 21, decreto legislativo n. 546/1992; invero, se, da un lato, non può ritenersi che l'atto impositivo, privo delle suddette informazioni, sia di per sé invalido, d'altro lato, l'omesso inserimento delle medesime nel contesto dell'atto assume rilevanza ai fini della valutazione della tempestività o meno del ricorso”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Ordinanza n. 30135 del 20 novembre 2019

rilevato che:

la sentenza impugnata ha esposto, in punto di fatto, che: la società contribuente aveva presentato una domanda di rimborso IVA per l'anno 1997 e che l'Agenzia delle entrate aveva adottato un provvedimento espresso di rigetto; avverso il suddetto rigetto aveva proposto ricorso la società contribuente e la Commissione tributaria provinciale di Mantova lo aveva accolto, dichiarando sussistente il diritto al rimborso dell'IVA; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello l'Agenzia delle entrate, che, fra l'altro: aveva insistito per l'inammissibilità del ricorso, in quanto il provvedimento di diniego era stato comunicato 1'8 agosto 2006 e, non essendo stato proposto tempestivo ricorso, lo stesso doveva essere considerato definitivo, non potendosi, quindi, attribuire alla comunicazione del 13 marzo 2007, nei confronti della quale era stata proposta impugnazione, natura di provvedimento, avendo valenza meramente confermativa del precedente atto di diniego; aveva, inoltre, lamentato la violazione di legge, poiché il giudice di primo grado aveva ritenuto che il diritto al rimborso IVA potesse essere riconosciuto anche in assenza della presentazione del modello VR e oltre il termine biennale di decadenza; si era costituita la società contribuente che aveva controdedotto: che la richiesta di rimborso era stata proposta con la dichiarazione annuale IVA 1998 e che, inoltre, era infondato il motivo di appello relativo alla inammissibilità del ricorso per tardività, atteso che la comunicazione dell'8 agosto 2006, richiamata dall'appellante, era priva delle indicazioni dei termini di impugnazione e, quindi, inidonea per la decorrenza del termine di impugnazione; che la mancata produzione del modello VR non costituiva impedimento per il riconoscimento del diritto al rimborso, un volta che il contribuente ne aveva fatto richiesta con la dichiarazione annuale; la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha respinto l'appello, ritenendo che: l'atto di diniego del rimborso doveva essere considerato quello di cui alla comunicazione del 13 marzo 2007, posto che solo rispetto ad essa doveva considerarsi proposta una formale istanza di rimborso da parte della contribuente; la comunicazione dell'8 agosto 2006, richiamata nella successiva comunicazione del 13 marzo 2007, era priva delle indicazioni relative al termine per impugnare e alla commissione competente; la mancata presentazione del modello VR non giustificava il diniego di rimborso in caso di regolare presentazione della dichiarazione annuale IVA contenente la richiesta di rimborso; la presentazione della istanza di rimborso nella dichiarazione IVA era impeditiva della decadenza, con la conseguenza che l'istanza di rimborso era stata validamente proposta entro il termine di prescrizione decennale del credito IVA; l'Agenzia delle entrate ricorre con otto motivi per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia in epigrafe; la società contribuente si è costituita con controricorso; considerato che: con il primo motivo si censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell'art. 57, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all'art. 360, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., per violazione del divieto di ius novorum in appello, avendo la Commissione tributaria regionale respinto il motivo di impugnazione relativo all'inammissibilità del ricorso della società per non avere questa tempestivamente impugnato la comunicazione dell'8 agosto 2006 sulla base di un rilievo di fatto consistente nella mancanza, nella comunicazione sopra indicata, dell'indicazione della Commissione tributaria competenza e del termine per impugnare, prospettato dalla controparte solo in sede di appello e, mutando, in tal modo, il thema decidendum; il motivo è infondato; nel ricorso proposto dinanzi alla Commissione tributaria provinciale la società contribuente aveva contestato (vd. Ricorso, pag. 14) che la comunicazione dell'ufficio dell'8 agosto 2006 costituisse atto autonomamente impugnabile, in quanto privo degli elementi essenziali richiesti dall'art. 19 del decreto legislativo n. 546/1992; la questione posta, quindi, all'attenzione del giudice di primo grado, atteneva alla verifica della natura di atto autonomamente impugnabile della comunicazione dell'8 agosto 2006, profilo fondamentale al fine di verificare se il ricorso era da considerarsi tempestivo o meno; in questo contesto, la mancanza nell'atto di cui sopra degli elementi necessari al fine della sua impugnabilità, in particolare dell'avviso del termine entro cui proporre l'impugnazione e della commissione competente, rientrava nel thema decidendum del giudizio di primo grado, posto che l'art. 19 del decreto legislativo n. 546/1992 indica, al comma 2, gli elementi essenziali dell'atto, ed è a questi che il giudice di appello, correttamente, ha fatto riferimento; peraltro, non risulta che la ricorrente abbia espressamente contestato, nel corso del giudizio di primo grado, le eccezioni della controparte tese a specificare su quali presupposti si fondava l'asserita mancanza di elementi essenziali dell'atto ai fini della sua impugnabilità, rendendo quindi la questione incontroversa; con il secondo, terzo e quarto motivo si censura la sentenza impugnata per non avere la CTR dichiarato l'inammissibilità del ricorso, in violazione dell'art. 19, comma 1, lett. g), comma 2 e 3, dell'art. 21, comma 1, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all'art. 360, comma primo, n. 4) (secondo e quarto motivo), all'art. 360, comma primo, n. 3) (terzo motivo), cod. proc. civ., per non avere rilevato la decorrenza del termine di impugnazione con riferimento all'atto dell'8 agosto 2006, per non avere ritenuto che il suddetto atto era comunque valido sebbene privo degli elementi essenziali di cui all'art. 19, comma 2, sopra citato, per non avere ritenuto che l'unico atto con il quale l'Ufficio aveva manifestato la volontà di rifiuto del rimborso era quello dell'8 agosto 2006, non impugnato, mentre la successiva comunicazione del 13 marzo 2007 aveva valenza meramente confermativa del primo atto; i suddetti motivi, che possono essere unitariamente considerati atteso che attengono alla questione della inammissibilità dell'impugnazione per tardività, sono infondati; la questione di fondo da esaminare attiene alla ritenuta tempestività del ricorso proposto dalla contribuente avverso il provvedimento di diniego, ove lo stesso non contenga l'espressa indicazione, come è pacifico nel caso di specie, del termine per impugnare e dell'autorità giurisdizionale dinanzi alla quale il ricorso deve essere proposto; sul punto, va precisato che, secondo questa Corte (Cass. civ., 30 luglio 2008, n. 20634), deve escludersi che «possa ritenersi l'intempestività di un ricorso proposto avverso un atto che non rechi le indicazioni (prescritte dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 2, e ora dal della L. n. 2121 del 2000, art. 7, comma 2) concernenti la commissione tributaria alla quale proporre il ricorso, nonchè i termini e le modalità per ricorrere»; inoltre, questa Corte (Cass. civ., 8 novembre 2013, n. 25227) ha, altresì, precisato che: «La giurisprudenza di questo giudice di legittimità ha escluso che la mancata indicazione di tali elementi determini invalidità dell'atto, essendo la relativa previsione normativa sprovvista di sanzione in caso di omissione (v. tra le altre, Cass. n. 14482 del 2003). Questa Corte (Sez. 5, Sentenza n. 7339 del 19/03/2008) ha altresì affermato che "la mancata indicazione del termine e dell'Autorità avanti alla quale ricorrere.... non è certo suscettibile di invalidare l'atto di diniego. Al più l'omissione verrebbe ad incidere sul termine entro il quale contestarne la legittimità ove l'impugnazione fosse stata proposta ma non ad esonerare dall'impugnazione stessa avverso il medesimo»; con altra pronuncia si è affermato che «le omissioni denunciate dalla contribuente non risultano tali da comportare alcuna invalidità dell'atto (v. Cass. 6.9.2006, n. 19189 secondo la quale: "La mancata indicazione nell'atto amministrativo del termine d'impugnazione e dell'organo dinanzi al quale può essere proposto ricorso, prevista dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, comma 4, non inficia la validità dell'atto, ma comporta sul piano processuale il riconoscimento della scusabilità dell'errore in cui sia eventualmente incorso il ricorrente, con conseguente riammissione in termini per l'impugnativa, ove questa sia stata proposta tardivamente"; cfr. (Cass. 26.2.2004, n. 3840; 25.6.2002, n. 9263 e SS.UU. 25.6.2002, n. 9263)»: dai suddetti arresti di questa Corte, pertanto, con riferimento all'omessa indicazione, negli atti impositivi, delle informazioni relative al termine entro cui il destinatario può proporre impugnazione e all'autorità giurisdizionale dinanzi alla quale il ricorso può essere proposto, deriva la necessità di procedere ad una necessaria distinzione tra il piano, meramente formale, degli effetti sulla validità dell'atto, da quello, più propriamente processuale, del termine entro cui il ricorso può essere proposto, ai sensi dell'art. 21, decreto legislativo n. 546/1992; invero, se, da un lato, non può ritenersi che l'atto impositivo, privo delle suddette informazioni, sia di per sé invalido, d'altro lato, l'omesso inserimento delle medesime nel contesto dell'atto assume rilevanza ai fini della valutazione della tempestività o meno del ricorso: è, quindi, necessario che la parte che ha ricevuto la notifica dell'atto impositivo provveda a proporre la relativa impugnazione avverso il medesimo, senza, tuttavia, che, da un lato, possa prospettare vizi che attengono all'omesso inserimento delle informazioni e, dall'altro, che possa prospettarsi una questione di tardività del ricorso; ciò precisato, risulta dal ricorso che la società contribuente aveva impugnato la comunicazione del 6 marzo 2007 prot. 7411/2007, che aveva richiamato, quanto alla motivazione, la precedente comunicazione dell'8 agosto 2006, prot. 20515/2006, e, in quella sede, aveva espressamente contestato che nessuna delle sopra citate comunicazioni dell'ufficio, con le quali si nega l'erogazione per assenza di richiesta di rimborso, contiene gli elementi essenziali richiesti dall'art. 19, d. Ig.s. 546/1992, procedendo, quindi, alla censura per ragioni di merito degli atti di rigetto dell'istanza di rimborso (vd. pag. 4 e 5, ricorso), ivi compreso di quanto contenuto nella comunicazione dell'8 agosto 2006; dalle considerazioni espresse con riferimento al primo motivo di ricorso, deriva che l'atto dell'8 agosto 2006, in quanto privo degli elementi essenziali di cui all'art. 19, comma 2, del decreto legislativo n. 546/92, non consentiva di ritenere decorsi i termini per l'impugnazione; con la riproposizione della domanda di rimborso ed a seguito del ricevimento della comunicazione del 13 marzo 2007, la contribuente ha, quindi, proposto ricorso e, in questo caso, ha instaurato il giudizio teso alla verifica della legittimità o meno del diniego al diritto vantato, senza che possa ritenersi intempestivo il ricorso, come correttamente affermato dal giudice del gravame; con il quinto motivo e sesto motivo si censura la sentenza impugnata per contraddittorietà nonché per omessa o insufficiente motivazione in relazione ad un fatto decisivo, in relazione all'art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., avendo da un lato la Commissione tributaria regionale ritenuto che la nota dell'8 agosto 2006 non era stata preceduta da una formale istanza di rimborso mentre, d'altro lato, ha affermato che la presentazione della dichiarazione annuale IVA doveva essere considerata una formale richiesta di rimborso e, inoltre, per non avere verificato che solo il primo atto dell'8 agosto 2006 aveva contenuto di provvedimento di rigetto dell'istanza di rimborso, mentre la successiva nota del 13 marzo 2007 aveva contenuto meramente confermativo di un provvedimento di rigetto precedentemente emesso e non impugnato; i motivi, esaminati unitamente, sono infondati; Le censure prospettate, invero, sono prive di rilievo ai fini della verifica della correttezza della pronuncia del giudice di appello, in quanto il primo rilievo recedono dinanzi alle considerazioni espresse in sede di esame dei motivi di ricorso già esaminati; si è detto, invero, che il suddetto atto dell'8 agosto 2006, essendo privo degli elementi essenziali per la sua impugnabilità, è stato tempestivamente impugnato unitamente al successivo atto del 13 marzo 2007 che, sebbene confermativo, in quanto ha ribadito la posizione contraria dell'ufficio, ha consentito, in tal modo, alla contribuente di potere far valere le proprie ragioni in sede contenziosa; con il settimo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 30, commi 2, 3, 5 e 38 bis, comma 1, penultimo periodo., del d.P.R. n. 633/1972, in relazione all'art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per avere ritenuto che l'omessa presentazione del modello VR non giustificava il diniego di rimborso in presenza di regolare presentazione della dichiarazione IVA contenente la richiesta di rimborso; il motivo è infondato; secondo l'orientamento giurisprudenziale di questa Corte, espresso in numerosi precedenti (cfr. da ultimo Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 25996 del 2014), la mera presentazione della dichiarazione annuale IVA produce l'effetto impeditivo della decadenza biennale, atteso che, con la compilazione dell'apposito "quadro", in cui deve essere riportata la esposizione del credito d'imposta e la richiesta di rimborso, il contribuente viene ad esercitare validamente il proprio diritto al rimborso, con la conseguenza che, a seguito di tale adempimento, non è richiesta la successiva presentazione di una ulteriore istanza di rimborso - soggetta a termine di decadenza, sicchè la redazione del "modello" approvato con decreto ministeriale, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38 bis e l'osservanza delle formalità disposte nel medesimo decreto, attengono esclusivamente alla fase esecutiva della procedura di rimborso e non incidono in alcun modo sulla spettanza del credito (correlata alla dimostrazione dei relativi fatti costitutivi, ove contestati dall'Ufficio) e sul -tempestivo- esercizio del diritto al rimborso del credito che, una volta richiesto con la dichiarazione annuale IVA, rimane assoggettato soltanto all'ordinario termine di prescrizione decennale ex art. 2946 c.c.. (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 15229 del 12/09/2012 secondo cui " La domanda di rimborso dell'IVA o di restituzione del credito d'imposta maturato dal contribuente deve ritenersi già presentata con la compilazione, nella dichiarazione annuale, del quadro relativo al credito, analogamente a quanto avviene in materia di imposte dirette, ed in linea con la Sesta Direttiva CEE, per la quale il diritto al ristoro dell'IVA versata "a monte" è principio basilare del sistema comunitario, per effetto del principio di neutralità, mentre la presentazione del modello di rimborso costituisce esclusivamente presupposto per l'esigibilità del credito e, quindi, adempimento necessario solo per dare inizio al procedimento di esecuzione del rimborso. Ne consegue che, una volta manifestata in dichiarazione la volontà di recuperare il credito d'imposta, il diritto al rimborso, pure in difetto dell'apposita, ulteriore domanda, non può considerarsi assoggettato al termine biennale di decadenza previsto dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 16 e, oggi, dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2, ma solo a quello di prescrizione ordinario decennale ex art. 2946 cod. civ. "; id. Sez. 5, Sentenza n. 7684 del 16/05/2012 secondo cui "deve tenersi distinta la domanda di rimborso o restituzione del credito d'imposta maturato dal contribuente, da considerarsi già presentata con compilazione nella dichiarazione annuale del quadro "RX4", che configura formale esercizio del diritto, rispetto alla presentazione altresì del modello "VR", che costituisce, ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 38-bis, comma 1, presupposto per l'esigibilità del credito e dunque adempimento necessario solo a dar inizio al procedimento di esecuzione del rimborso; ne consegue che, una volta esercitato tempestivamente in dichiarazione il diritto al rimborso con la compilazione del quadro "RX4", la presentazione del modello "VR" non può considerarsi assoggettata al termine biennale di decadenza previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2, ma solo a quello di prescrizione ordinario decennale ex art. 2946 cod. civ."). Tale indirizzo, dal quale il Collegio non ha motivo di discostarsi, trova fondamento nel sistema normativo comunitario del regime dell'IVA per cui il fatto generatore del diritto al rimborso deve essere ravvisato esclusivamente nella esecuzione di operazioni imponibili (venendo in essere il credito nel momento stesso in cui la imposta diviene esigibile, e dunque normalmente nel momento in cui viene realizzata la operazione ed emessa la fattura), sicchè la richiesta di rimborso, formulata mediante indicazione del credito di imposta nella dichiarazione, configura una mera modalità di esercizio da parte del contribuente di un diritto patrimoniale già insorto (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 10808 del 28/06/2012); con l'ottavo motivo si censura la sentenza per violazione e falsa applicazione dell'art. 21 comma 2, del decreto legislativo n. 546/1992 e dell'art. 2946 cod. civ., in relazione all'art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per non avere ritenuto che la contribuente, non avendo presentato il modello VR era incorsa nella decadenza biennale; il motivo è infondato; come già segnalato con riferimento al superiore motivo di ricorso, in tema di imposte sui redditi, qualora il contribuente evidenzi nella dichiarazione, secondo le modalità stabilite dalla legge, un credito d'imposta, non occorre da parte sua alcun altro adempimento ai fini di ottenerne il rimborso, in quanto tale condotta costituisce già istanza di rimborso, che tiene luogo, a tutti gli effetti, di quella di cui all'art. 38 del D.P.R. n. 602/1973, essendo l'Amministrazione, con la dichiarazione, dei conteggi effettuati dal contribuente, posta in condizione di conoscere la pretesa creditoria. Tanto ciò è vero che da quel momento, impedita ovviamente la decadenza, decorre, secondo i principi generali, l'ordinario termine di prescrizione decennale per l'esercizio della relativa azione dinanzi al giudice tributario (vd. anche Cass. civ. Sez. V, 9 settembre 2016, n. 16797); per quanto sopra esposto, il ricorso è infondato e deve essere rigettato, con condanna della ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese di lite del presente giudizio, come liquidate in dispositivo;

P.Q.M.

La Corte: rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese di lite del presente giudizio, che si liquidano in euro 8.000,00, oltre spese generale nella misura del 215 per cento, ed accessori di legge. In Roma, addì 2 febbraio 2018.

 

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