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Contratto d'affitto di azienda: le rimanenze rimangono in capo al concedente e non vi è una cessione autonoma - assoggettabili ad Iva - delle stesse. Ricorso del contribuente accolto.

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Estratto: “le rimanenze costituiscono - salvo diversa volontà negoziale delle parti ed ove non considerate isolatamente rispetto alla loro destinazione funzionale - beni a servizio dell'impresa e, dunque, appartenenti a tutti gli effetti al compenso aziendale, sicché, in caso di affitto dell'azienda, esse permangono in capo al concedente, che cede all'affittuario soltanto il diritto personale di utilizzo del bene produttivo (azienda), dovendo, quindi, escludersi la ravvisabilità di un autonomo atto di cessione delle rimanenze assoggettabile ad Iva”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5,

Sentenza n. 3415 del 12 febbraio 2020

RILEVATO CHE

S. - G. S. Srl impugnava l'avviso di rettifica con cui l'Agenzia delle Entrate recuperava la maggior Iva dovuta per l'anno d'imposta 1991 per l'omessa contabilizzazione ed autofattura dei "materiali/presidi sanitari e medicinali", esistenti nel magazzino della casa di cura oggetto del contratto d'affitto d'azienda tra la cedente, Clinica V. F. Spa, e la contribuente. L'impugnazione era rigettata dalla CTP di Roma. La sentenza era confermata dal giudice d'appello, secondo il quale solo le "normali dotazioni di scorte" potevano andare esenti Iva e non la generalità delle merci in magazzino, sicché riduceva la ripresa per il valore corrispondente al 50% di quanto indicato, per l'anno 1992, nel conto profitti e perdite per la reintegra dei beni di terzi in affitto. La contribuente propone ricorso per cassazione con un motivo. L'Agenzia delle entrate è rimasta intimata.

CONSIDERATO CHE

1. L'unico motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2, primo e terzo comma, d.P.R. n. 633 del 1972, 2555, 2561 e 2562 c.c. per aver il giudice d'appello, sulla base di una non pertinente distinzione tra merci in magazzino e normale dotazione di scorte, erroneamente sussunto nella nozione di contratto d'affitto d'azienda l'avvenuta operazione, che includeva la totalità di quanto utilizzato nell'esercizio della casa di cura, ritenendo che le merci in magazzino non potessero che costituire oggetto di cessione a titolo particolare.

2. Il motivo è fondato.

2.1. Occorre premettere che è incontroverso - per come risulta dalla stessa motivazione - che con la cessione «i medicinali e gli altri sanitari» erano tutti «inventariati all'atto dell'affitto», il quale era unico «e non divisibile in "locazione" e "gestione d'azienda"», né è in discussione l'unicità dell'operazione (cui era allegato il verbale d'inventario) ma solo il regime giuridico delle merci in oggetto. La circostanza, del resto, emerge univocamente dalle clausole del contratto d'affitto, riprodotte per autosufficienza in ricorso, che, specificamente, individuava, nell'oggetto del rapporto, "tutto quanto attualmente utilizzato nell'esercizio della casa di cura".

2.2. Dalla lettura della sentenza impugnata, invece, appare che la CTR abbia voluto scindere dal contratto di affitto di azienda l'atto di cessione delle rimanenze di magazzino, rinvenendo la autonomia negoziate delle due operazioni nella disciplina dei beni inventariati dettata dall'art. 2561 c.c.

2.3. Come già rilevato da questa Corte per una vicenda omologa (v. Cass. n. 20443 del 06/10/2011), tale conclusione si pone in contrasto con la nozione civilistica di azienda, secondo la quale il carattere precipuo dell'azienda è, ai sensi dell'art. 2555 c.c., «il complesso dei beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa», con la conseguenza che assume rilevanza centrale l'elemento funzionale, ossia il legame fra il singolo elemento aziendale ceduto e l'impresa, sicché, ai fini tributari, solo in assenza di questo legame, il bene potrà ritenersi ceduto autonomamente e l'operazione soggetta a Iva (v. Cass. n. 33495 del 27/12/2018). Ne deriva che riorganizzazione dei beni aziendali" è il risultato che consegue all'esercizio della autonomia privata del soggetto che imprime il nesso di strumentalità ai singoli beni destinandoli all'esercizio della impresa, rilievo che include necessariamente anche le giacenze o scorte di magazzino, che costituiscono - salvo diversa volontà negoziale, nella specie assente - beni al servizio dell'impresa parimenti assoggettati alla disciplina del codice civile in materia di trasferimento e di affitto del complesso aziendale, unitariamente considerato in relazione a tutte le sue componenti.

2.4. Va poi sottolineato, in relazione alla specifica ipotesi del contratto d'affitto di azienda, che la separazione tra la titolarità della proprietà dei beni (in capo al cedente) e la titolarità del diritto, reale o personale, di godimento (in capo al cessionario) assolve alla funzione di consentire al primo di mantenere il valore patrimoniale dell'azienda, senza i rischi propri dell'imprenditore, cui corrisponde l'obbligo dell'affittuario (o usufruttuario) di gestire l'azienda «senza modificarne la destinazione e in modo da conservare l'efficienza dell'organizzazione e degli impianti e le normali dotazioni di scorte» (art. 1561 c.c.).

Proprio in relazione a tale obbligo di proficua gestione aziendale, infatti, l'affittuario è tenuto restituire al proprietario al termine della durata contrattuale i beni aziendali in condizioni non deteriori rispetto a quelle in cui li aveva ricevuti: l'art. 1561, comma 4, c.c. regola espressamente la restituzione dei beni originariamente presenti prevedendo che «La differenza tra le consistenze d'inventario all'inizio e al termine dell'usufrutto [affitto] è regolata in danaro, sulla base dei valori correnti al termine dell'usufrutto [affitto]». L'affittuario, del resto, esercita soltanto un diritto personale di sfruttamento del bene produttivo, ossia l'azienda, il quale si atteggia in termini necessariamente differenti in relazione alla diversa natura dei singoli beni aziendali, ossia a seconda che tali beni siano destinati a durare nel tempo ovvero ad essere impiegati nel ciclo produttivo o commerciale della azienda, insorgendo, in quest'ultima evenienza, l'obbligazione di corresponsione per equivalente.

Per contro, la distinzione apprezzata dalla CTR (tra le normali dotazioni di scorte e il complesso delle merci di magazzino) mira solo ad impedire che si verifichi una situazione di rischio di efficienza della azienda - e, rilevando quale inosservanza dell'obbligo di "conservare l'efficienza dell'organizzazione", può portare alla risoluzione per (grave) inadempimento dell'affittuario - ma non ad introdurre un regime di cessione diversificato rispetto all'universalità dei beni aziendali.

2.5. La disciplina civilistica, dunque, a differenza di quanto ritenuto dalla CTR, non delinea una autonoma figura di cessione avente ad oggetto i beni di magazzino, né distingue, quanto a condizione giuridica, tra "normale dotazione di scorte" e complesso delle merci in magazzino: i beni organizzati in funzione dell'esercizio dell'impresa, ivi incluse le rimanenze, sono considerati unitariamente come complesso aziendale.

Ne deriva che, avuto riguardo alla fattispecie in giudizio, la messa a disposizione del complesso delle merci (medicinali/presidi sanitari), rientra nella unitaria operazione di affitto d'azienda a favore della contribuente, esclusa l'assoggettabilità dei beni ad Iva e all'obbligo di autofatturazione.

3. Va pertanto affermato il seguente principio di diritto: «le rimanenze costituiscono - salvo diversa volontà negoziale delle parti ed ove non considerate isolatamente rispetto alla loro destinazione funzionale - beni a servizio dell'impresa e, dunque, appartenenti a tutti gli effetti al compenso aziendale, sicché, in caso di affitto dell'azienda, esse permangono in capo al concedente, che cede all'affittuario soltanto il diritto personale di utilizzo del bene produttivo (azienda), dovendo, quindi, escludersi la ravvisabilità di un autonomo atto di cessione delle rimanenze assoggettabile ad Iva» .

4. In accoglimento del ricorso, pertanto, la sentenza va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, va accolto l'originario ricorso della contribuente. Le spese delle fasi di merito vanno compensate per la peculiarità della vicenda, mentre quelle di legittimità sono liquidate, come in dispositivo, per soccombenza.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l'originario ricorso della contribuente. Condanna l'Agenzia delle entrate al pagamento delle spese a favore S., che liquida in complessive € 5.600,00, oltre spese generali ed accessori di legge. Compensa le spese delle fasi di merito.

Deciso in Roma, nell'adunanza camerale del 11 dicembre 2019

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