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Fisioterapisti: le prestazioni a domicilio nel mirino degli accertamenti fiscali

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Fisioterapisti: le prestazioni a domicilio nel mirino degli accertamenti fiscali

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Il fisioterapista, specie nel caso in cui sia titolare di uno studio professionale autonomo, può arrivare a guadagnare cifre significative. Per tale ragione questa professione attualmente è molto ambita ed offre importanti sbocchi lavorativi agli operatori della riabilitazione.

Prima di diventare ed operare regolarmente come fisioterapista abilitato all’esercizio della professione bisogna ottenere il titolo di laurea triennale in Fisioterapia mentre solo recentemente è prevista l’iscrizione nell’apposito albo dei fisioterapisti.

Al di là del corso di laurea triennale sono poi previsti ulteriori corsi di specializzazione. E quindi esistono professionisti esperti nelle diverse branche quali ortopedia e traumatologia, cardiologia, neurologia, ecc. Per svolgere la professione, specie qualora il fisioterapista scelga di aprire un proprio studio, è indispensabile poi possedere diversi beni strumentali quali: lettini, apparecchi di supporto, deambulatori vari, piani oscillanti, bilance, cyclette, tapis-roulant, ma anche varie apparecchiature elettromedicali fisse indispensabili per svolgere le attività di elettroterapia, infrarossi, ultravioletti, laser, magnetoterapia. Si tratta, in ogni caso, di strumentazione che richiede un importante investimento iniziale.

Il fisioterapista, dunque, può essere definito come quell’operatore sanitario abilitato che è in grado di eseguire tutti gli interventi di prevenzione, cura e riabilitazione nelle aree afferenti la motricità ed al movimento ricorrendo sia a tecniche manuali che ad apparecchiature e strumentazione medicale.

È bene precisare che, terminati gli studi ed assunta la qualifica, il fisioterapista può svolgere la sua attività professionale in maniera autonoma, scegliendo liberamente e nel pieno esercizio della sua capacità diagnostica le terapeutiche-riabilitative indispensabili a risolvere il problema del paziente. Per altre prestazioni, invece, egli opera sotto la direzione di un medico al quale compete sia la diagnosi sia l’individuazione del percorso sanitario riabilitativo, decidendo anche le modalità e la durata delle sedute di fisioterapia. Questa differenziazione è importante soprattutto ai fini fiscali in quanto le due attività assumono connotazioni diverse ai fini Iva. Ed infatti, le prestazioni svolte in piena autonomia sono assoggettate all’aliquota I.V.A. ordinaria. Il secondo tipo di attività è soggetta alla normativa applicabile alla professione medica la quale prevede che sono esenti I.V.A. le prestazioni sanitarie di diagnosi, cura e riabilitazione.

Anche se molti fisioterapisti intendono svolgere la propria attività in forma subordinata presso aziende sanitarie, strutture assistenziali o studi professionali, molti sono quelli che scelgono la via dello studio professionale proprio, fornendo anche assistenza domiciliare ai pazienti o, sempre in regime di libera professione, all’interno di ambulatori, scuole, case di riposo, centri specializzati, strutture sportive, palestre e società sportive come fisioterapista sportivo oppure fisioterapista di una squadra di calcio. Insomma, le possibilità e le forme di collaborazioni sono diverse, ognuna delle quali influenza notevolmente il reddito conseguito dal fisioterapista. L’avvio di questa carriera richiede, quindi, l’apertura di una partita Iva oltre ad una posizione previdenziale dedicata.

Cosa valuta il controllo fiscale nei centri di fisioterapia?

È proprio nei confronti del fisioterapista che opera in regime di libera professione che si indirizzano prevalentemente i controlli fiscali. L’obiettivo di finanzieri ed agenti accertatori è quello di determinare eventuali introiti conseguiti in nero dal libero professionista e sottratti all'imposizione fiscale.

Le fasi preliminari del controllo riguardano innanzitutto l’acquisizione di tutta la documentazione contabile obbligatoria ed extracontabile reperita all’interno dello studio e ritenuta rilevante ai fini della verifica.

In particolare, verranno acquisiti agende, appunti, corrispondenza, rubriche, schedario dei pazienti ed i documenti fiscale emessi. Tuttavia, le verifiche si concentrano anche nella valutazione di macchinari ed attrezzature elettromedicali oltre che nella presenza di collaboratori. Soprattutto dalla presenza di attrezzature mobili i verificatori potrebbero presumere lo svolgimento di numerose prestazioni a domicilio che sono quelle per cui si concentrano molti dei controlli fiscali. Gli accertatori potrebbero ritenere che, partendo da queste analisi, si possa arrivare ad individuare la quantità ed il tipo di prestazioni sia svolte nello studio che presso il domicilio dei pazienti.

La finalità del controllo è quella di determinare il volume d’affari generato dal fisioterapista e quindi di cercare ricostruire il tipo e la quantità delle prestazioni professionali rese rispetto a quelle dichiarate all’erario. Il problema riguarda, però, l’accortezza e l’attendibilità di queste verifiche. Ricostruire le effettive prestazioni rese da un fisioterapista non è cosa semplice. Bisogna, innanzitutto, considerare che le prestazioni non vengono svolte solo all’interno dello studio ma anche presso il domicilio dei pazienti o centri di riabilitazione, case di cura, palestre, ecc.

Specie nel caso di prestazioni al domicilio è molto difficile riuscire a fare una stima attendibile anche perché, molto spesso, il professionista effettua molti chilometri da un luogo ad un altro. In genere gli accertatori presumo di ricostruire le prestazioni analizzando l’agenda degli appuntamenti, le schede o l’archivio dei clienti. Ma si tratta di una verifica altamente approssimativa.

Altro parametro adoperato è quello che prende in esame la durata delle sedute di fisioterapia, a seconda che siano manuali o svolte con apparecchiature. Anche in questo caso il verificatore si scontra con un alto grado di variabilità. Il fisioterapista, infatti, può svolgere sedute che vanno dai 10 ai 60 minuti, con un’incertezza che non è possibile stabilire di volta in volta.

In questi casi sarebbe indispensabile che l’accertatore proceda in contraddittorio con il diretto interessato, il fisioterapista soggetto all'accertamento per confrontarsi sia sulla durata delle prestazioni, sia sul numero di sedute che è possibile svolgere nell’arco di un giorno.

Questo numero, infatti, varia anche a seconda della patologia trattata. Anche le tariffe medie possono essere adoperate per determinare gli introiti mensili o annuali del tecnico riabilitativo. Tuttavia, bisogna considerare la presenza della concorrenza che porta ad abbassare le tariffe per prestazioni o cicli di prestazioni, oltre allo svolgimento di attività nei confronti di parenti ed amici che vengono fatte ad un costo molto inferiore, se non addirittura gratuitamente.

Infine, gli accertatori prendono in esame anche il consumo dei materiali, asciugamani, teli, guanti, camici, per arrivare a determinare il numero di prestazioni rese dal fisioterapista.

Elemento fortemente incerto, in quanto il loro impiego andrebbe sempre chiarito confrontandosi con il tecnico sottoposto alla verifica.

Per tute queste ragioni, nel momento in cui un fisioterapista riceve un avviso di accertamento per maggiori imposte dovute al fisco, si vede costretto a ricorrere al contenzioso per chiarire la sua posizione fiscale, che potrebbe essere in regola e priva di irregolarità (o comunque molto più in regola rispetto alle contestazioni mosse allo stesso con l’avviso di accertamento). Questo è quello che è accaduto nei seguenti casi.

Corte di Cassazione, V Sez. Civile, sentenza n. 24784 del 04/12/2015

In questo caso l’Agenzia delle Entrate, a seguito delle indagini di polizia tributaria, accertava il contribuente avesse svolto attività non dichiarate di fisioterapista e mediatore immobiliare, senza possedere partita IVA e senza tenere le scritture obbligatorie. Egli, inoltre, non avrebbe fornito adeguate giustificazioni in merito alle sue movimentazioni bancarie.

Il contribuente, invece, aveva contestato l’avviso di accertamento relativo alle maggiori imposte dovute in quanto aveva fornito in maniera precisa tutte le giustificazioni relative a ciascuno dei versamenti effettuati nel corso degli anni, fornendo anche, nei casi più importanti, la prova documentale sulla loro provenienza.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso del fisioterapista ritenendo che il giudice tributario avrebbe dovuto ricostruire analiticamente le movimentazioni bancarie comparandole tutte le registrazioni di conto corrente contestate dal fisco e, soprattutto, con tutta la documentazione giustificativa prodotta dal contribuente per arrivare, semmai, a determinare la precisa contabilizzazione dell'imposizione fiscale. In questo caso, invece, la commissione tributaria si era limitata a chiamare a tassazione i versamenti non giustificati, senza fornire un’adeguata motivazione.

Corte di Cassazione, V Sez. Civile, sentenza n. 4585 del 06/03/2015

Questa vicenda ha preso avvio da un avviso di accertamento con cui l'Agenzia delle Entrate determinava ma maggior reddito conseguito da una contribuente esercente l’attività di fisioterapista, rispetto ai minori redditi dichiarati al fisco.

In particolare, l’ufficio tributario aveva rettificato il reddito dichiarato sulla base delle risultanze delle movimentazioni dei conti correnti bancari cointestati, ritenendo che i versamenti e prelievi non fossero stati adeguatamente giustificati.

I giudici tributari hanno parzialmente accolto il ricorso della contribuente ritenendo che i prelevamenti di cui non si riesce a spiegare la paternità, non si possono ritenere costi non contabilizzati. In sostanza, mancando le prove certe sulla riconducibilità delle operazioni bancarie contestate in capo alla fisioterapista, non era possibile attribuire rilevanza a tali prelevamenti.

Questa impostazione è stata accolta anche dalla Suprema Corte di Cassazione che ha ridotto l’imposizione fiscale a carico della contribuente.

Comm. Trib. Reg. per il Piemonte, sentenza n. 228 del 09/02/2017

Anche questo contenzioso ha preso avviso dal ricorso promosso da una contribuente esercente la professione di fisioterapista, con cui si contestava il diniego al rimborso dell'imposta IRAP versata al fisco e non dovuta.

L’Agenzia delle Entrate ha ritenuto dovuta l’IRAP in quanto la fisioterapista svolgeva la sua attività prevalentemente presso una struttura ospedaliera che le aveva messo a disposizione mezzi ed una struttura organizzata per svolgere le sue prestazioni sanitarie.

La contribuente, al contrario, ha chiarito di non essere tenuta al versamento dell’IRAP in quanto i compensi che ha percepito in quell'anno d'imposta sono stati di modesta entità ed in linea con quelli di un dipendente ospedaliero della categoria paramedico. Inoltre, ella svolgeva la sua attività prevalentemente in maniera manuale e, per tali prestazioni, come per quelle di avvocati commercialisti ed architetti, non è dovuta l’IRAP. Infine, la contribuente svolgeva la sua attività non solo presso la struttura sanitaria ma anche presso la sua abitazione.

I giudici tributari hanno accolto il ricorso della contribuente ritenendo che ai fini Irap non rileva l'attività svolta da un fisioterapista prevalentemente presso strutture ospedaliere e, secondariamente, presso la propria abitazione. In tale caso, infatti, la fisioterapista aveva dimostrato di non avvalersi di una struttura organizzata di persone e cose, ma esclusivamente del suo lavoro, che svolge con le proprie mani, spostandosi con l’auto di sua proprietà, la quale viene usata anche per altri fini non esclusivamente lavorativi.

 

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