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Raccolta sentenze "Frode carosello"

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Di seguito alcuni esempi di sentenze emesse in materia di frode carosello, all’interno delle quali l’avviso di accertamento notificato al contribuente è stato impugnato con ricorso ed, a seguito, annullato totalmente dalle Commissioni Tributarie. La selezione è avvenuta tenendo in considerazione sentenze che si soffermano su diversi degli elementi, favorevoli alla posizione delle aziende e dei contribuenti, rilevanti in relazione alla tipologia di contestazioni di cui si discute (presunte frodi caroselli, presunte frodi IVA, presunte società cartiere).

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Commissione Tributaria Provinciale di Roma, Sez. 7

Sentenza del 01/06/2018 n. 11456 -

Fatto

XXX C.F. XXX, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa come in atti, proponeva ricorso avverso l’avviso di accertamento n.          notificato il 10.04.2017 dall’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale I di Roma, con il quale l’Ufficio contestava violazioni della normativa fiscale per l’anno di imposta 2012 per utilizzo di fatture soggettivamente inesistenti. L’accertamento traeva origine da verifica fiscale eseguita dai militi della Guardia di Finanza di XXX a carico dell’impresa XXX rilevando a carico della stessa la gestione dell’impresa per aggirare la normativa in materia di IVA ed evadere le imposte.

L’Ufficio con l’avviso di accertamento impugnato contesta alla ricorrente di aver utilizzato fatture per operazioni inesistenti perché si tratterebbe di fatture per prestazioni di servizi emesse da società cartiere inesistente per gli uffici tributari. La ricorrente avente come attività la produzione di bancali in legno per trasporto di merci, eccepiva – l’illegittimità dell’accertamento per omessa sottoscrizione in violazione dell’art. 42 del dpr 600/73 essendo stato formato e sottoscritto digitalmente da persona fisica su delega del direttore in violazione di norma specifica; illegittimità dell’atto per mancata indicazione del codice QR contrassegno indispensabile per la firma digitale; l’illegittimità dell’atto impugnato per violazione del principio dell’onere della prova e buona fede della contribuente. Precisava che aveva acquistato dalla XXX oggetto di varie fatture per un totale di euro 833.532,00 oltre IVA e dopo aver ricevuto la merce, registrate le relative fatture e corrisposto la somma dovuta, per l’annualità in contestazione ha detratto i costi e portato l’IVA assolta in detrazione. L’Ufficio non metteva in discussione l’effettività dell’operazione, ma riteneva che l’emittente delle fatture fosse una società cartiera e filtro e, quindi, qualificava le operazioni commerciali soggettivamente inesistenti.

L’Ufficio, in sede di accertamento, riconosceva i costi ma recuperava a tassazione l’IVA detratta perché riteneva che l’odierna ricorrente fosse consapevole della frode fiscale dell’emittente delle fatture. Precisava, inoltre, che il procedimento penale aperto presso la Procura della Repubblica di                  a carico del legale rappresentante della ricorrente era stato archiviato perché non era provato che “la XXX fosse, in ogni caso, consapevole di partecipare all’eventuale circuito fraudolento ascrivibile al soggetto fornitore”. La ricorrente aveva ampiamente documentato e motivato la scelta aziendale fatta per l’anno in esame e per parte del successivo 2013 finché i rapporti commerciali si erano interrotti stante la diminuita qualità del prodotto fornito.

Concludeva con la richiesta, previa sospensione dell’esecutività dell’atto, di annullamento dell’avviso impugnato per i motivi esposti. Vittoria di spese e trattazione della controversia in pubblica udienza. In data 7 febbraio 2017 la ricorrente depositava istanza di trattazione urgente perché era stato notificata la presa in carico del ruolo da parte dell’Agente della riscossione.

Con memoria depositata in via telematica 21.11.2017 si costituiva l’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale I di Roma, la quale richiedeva conferma dell’atto impugnato stante la legittimità e fondatezza dello stesso. Motivava e contestava le avversarie eccezioni. Concludeva con la richiesta di rigetto del ricorso con vittoria di spese.

Con memoria depositata il 26 aprile 2018, la ricorrente, insisteva nelle contestazioni mosse e depositava, tra l’altro, copia del dispositivo della sentenza emessa dalla CTP di                      ricorso proposto per l’anno 2011 che aveva accolto integralmente il ricorso.

La trattazione del ricorso è avvenuta in pubblica udienza e la Commissione ha deciso come da dispositivo.

Diritto

Il Collegio visti gli atti ritiene che il ricorso sia fondato.

In via preliminare, il Collegio pone in evidenzia che la costituzione dell’Agenzia delle Entrate con il sistema telematico deve ritenersi inammissibile perché la stessa non è stata resa accessibile al Collegio perché il ricorso è stato introdotto con la modalità cartacea e, quindi, non è stata acquisita dal sistema informatico. Ne consegue che la costituzione telematica della parte convenuta, pur pervenuta alla segreteria, il sistema non l’ha collegata ad alcun fascicolo. Con l’accesso al SIGIT sia il contribuente sia il giudice, il fascicolo non lo trovano né possono conoscere la memoria di costituzione della parte convenuta ed eventuale documentazione prodotta.

La precisazione va fatta in via generale per chiarire una volta per tutte che ove il ricorso è introdotto con modalità cartacee, anche la costituzione in giudizio della parte convenuta deve avvenire con le stesse modalità. Se il ricorso è introdotto telematicamente anche la costituzione in giudizio deve avvenire con le stesse modalità.

La normativa in materia di Processo Tributario Telematico prevede espressamente che se il ricorso è introdotto in forma cartacea, anche la costituzione in giudizio sia delle parti ricorrenti sia delle parti resistenti, deve avvenire in forma cartacea e proseguire in detta modalità anche nei successivi gradi di giudizio.

Precisamente, come anche statuito dalla CTR Toscana n.1783/2017 è il ricorrente che decide se introdurre per tutto il processo tributario le modalità cartacee, oppure quelle telematiche.

In altri termini, se il ricorrente notifica e deposita il ricorso con modalità cartacee, anche il Fisco deve costituirsi in giudizio con comparsa cartacea. Se, invece, la costituzione dell’Agenzia avviene con notifica PEC e costituzione telematica, la stessa è inammissibile.

Nel processo tributario il sistema si ricostruisce nel senso che se il ricorso è introdotto tramite PEC la costituzione in giudizio del ricorrente e della parte resistente debba avvenire in modo telematico, cioè tramite il sistema Si.Gi.t., mentre nel caso in cui il ricorso sia stato introdotto in modo “cartaceo”, cioè con deposito presso la controparte o invio tramite posta alla stessa, anche la costituzione in giudizio del ricorrente e della parte resistente debba avvenire in modo cartaceo.

La tesi sopra sostenuta già dai giudici di merito della regione Toscana, dove l’introduzione del processo tributario telematico è stata prevista prima che in tutte le altre regioni, è sostenuta dal rispetto delle garanzie processuali delle parti previste normativamente dai principi costituzionalmente garantiti.

In definitiva le modalità seguite dal ricorrente per introdurre il ricorso, “cartaceo” o “telematico”, vincolano per tutti, ricorrente e controparte, lo sviluppo del giudizio, in primo grado ed anche in appello.

Per i Giudici di Merito (CTO Reggio Emilia n. 245/2017 e CTP Foggia n. 1981/2017) nell’applicare gli artt. 9 e 10 del D.M. n. 163 del 23 dicembre 2013, nel caso in cui il ricorrente, fin dall’inizio abbia scelto le modalità cartacee, il resistente non può mutare tale scelta costituendosi con modalità telematiche (notifica atto tramite PEC costituzione tramite il sistema S.I.Gi.T.). Pena l’illegittimità e inesistenza della costituzione del resistente.

Art. 9, comma 1: “(Notifiche e deposito degli atti). 1. Il ricorso e gli altri atti del processo tributario, nonché quelli relativi al procedimento attivato con l’istanza di reclamo e mediazione, sono notificati utilizzando la PEC secondo quanto stabilito dall’art. 5”: Tale art. 5 disciplina le modalità per le notifiche e le comunicazioni telematiche.

Art. 10: “(Modalità di costituzione in giudizio) 1. La costituzione in giudizio del ricorrente, nel caso di notifica del ricorso ai sensi dell’art. 9, avviene con il deposito mediante il S.I.Gi.T. del ricorso, della nota d’iscrizione a ruolo degli atti e documenti ad esso allegati, attestato dalla ricevuta di attestazione rilasciata dal S.I.Gi.T. recante la data di trasmissione. 2. Successivamente alla costituzione in giudizio del ricorrente, il S.I.Gi.T. rilascia, altresì, il numero di iscrizione del ricorso nel registro generale di cui all’articolo 25 del decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 546. 3. La costituzione in giudizio e il deposito degli atti e documenti della parte resistente avviene con le modalità indicate al comma I”.

Tra tali due norme (art.9 e art. 10) sussiste una specie di parallelismo fra le modalità di notifica del ricorso introduttivo mediante “carta” o mediante PEC.

Quindi nel caso di notifica a mezzo “carta” del ricorso introduttivo la costituzione del ricorrente e quella anche del resistente NON può essere telematica: S.I.Gi.T.

E’ proprio il richiamo tout court dell’art. 10, comma 3, al precedente comma 1, che fa propendere per la costituzione del resistente l’utilizzo delle stesse modalità utilizzate dal ricorrente.

In altri termini: il richiamo dell’art. 10, comma 1 (nel caso di notifica del ricorso ai sensi dell’art. 9) fa si che le modalità del resistente siano inevitabilmente collegate alle scelte fatte dal ricorrente secondo quanto indicato da tale art. 9. L’inammissibilità della costituzione telematica dell’Ufficio non preclude l’esame del merito della controversia.

Come specificato dall’art. 1 del D.Lgs. 10 marzo 2000 n. 74: “Per “fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” s’intendono le fatture o gli altri documenti aventi rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie, emessi – a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte; o che indicano i corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale; ovvero che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi”.

L’ultima fattispecie a cui la norma fa riferimento è quella relativa, appunto, alle c.d. “fatture soggettivamente inesistenti”, ovverosia a quei documenti fiscali emessi nei casi in cui l’operazione (cessione di beni o prestazione di servizi) è stata effettivamente posta in essere, ma uno dei soggetti indicati nel documento fiscale non è quello che realmente ha effettuato l’operazione.

Il percorso logico-giuridico indicato dalla Cassazione è quello riscontrabile in giurisprudenza comunitaria.

Nello specifico il giudice comunitario ha stabilito che “va negato il beneficio del diritto a detrazione dell’IVA ove sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che il soggetto passivo, al quale sono stati forniti i beni o i servizi posti a fondamento del diritto a detrazione, sapeva o avrebbe dovuto sapere che tale operazione s’iscriveva in un’evasione commessa dal fornitore o da un altro operatore a monte”.

Come evidenziato dai giudici di legittimità, la Corte di Giustizia UE ha inoltre affermato che è legittimo “esigere che un operatore adotti tutte le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che l’operazione effettuata non lo conduca a partecipare a un’evasione fiscale”, ma la diligenza esigibile dall’operatore dipende essenzialmente dalle circostanze della fattispecie.

Quindi “qualora sussistano indizi che consentono di sospettare l’esistenza di irregolarità o di evasioni, un operatore accorto potrebbe, secondo le circostanze del caso di specie, vedersi obbligato ad assumere informazioni su un altro operatore, presso il quale prevede di acquistare beni o servizi, al fine di sincerarsi della sua affidabilità”.

Alla luce di tali considerazioni, muovendo dalla giurisprudenza comunitaria testé citata e rifacendosi a pregresso percorso giurisprudenziale di legittimità, la Corte di Cassazione ha chiarito che “qualora l’amministrazione contesti a un operatore il diritto alla detrazione dell’imposta sul valore aggiunto in ragione di una supposta inesistenza soggettiva delle operazioni oggetto dell’accertamento, è onere della medesima amministrazione provare, alla luce di elementi oggettivi, che il soggetto passivo interessato sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione s’iscriveva – per l’esistenza nella specie di indizi idonei ad avvalorare il sospetto in tal senso indicati dall’amministrazione – in un’evasione commessa dall’emittente delle fatture contestate o da un altro operatore intervenuto a monte nella catena di prestazioni”.

Tanto precisato, con sentenza in commento, i giudici di legittimità hanno affermato il principio secondo cui “la detrazione Iva è ammessa solo in presenza di fatture provenienti dal soggetto che effettua realmente la cessione o la prestazione”.

La Corte, confermando il suo precedente orientamento, ha, in sostanza, ribadito che in presenza di fatture per operazioni “soggettivamente” (o “oggettivamente”) inesistenti, trattandosi di situazioni fraudolente o abusive, il cessionario che utilizza il documento fiscale non può recuperare l’Iva, anche se l’imposta è stata assolta dall’emittente ai sensi dell’articolo 21, settimo comma, del dpr n. 633/72, secondo cui “se viene emessa fattura per operazioni inesistenti, ovvero se nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relative sono indicate in misura superiore a quella reale, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura” (cfr Cassazione, sentenze nn. 14337/2002 e 309/2006).

In altre parole, nella specifica ipotesi di costi documentati da fatture emesse da un soggetto diverso rispetto all’effettivo fornitore di beni o di servizi, l’imposta è dovuta dalla società venditrice per l’intero ammontare indicato in fattura, mentre la società acquirente non può usufruire della corrispondente detrazione.

Nella fattispecie in esame l’Amministrazione finanziaria, a sostegno della propria tesi, argomentava che la merce acquistata dalla ricorrente presso l’operatore XXX poteva essere direttamente acquistata presso la società estera che era la fornitrice dei beni. Sosteneva l’Ufficio che la società emittente le fatture era risultata inadempiente agli obblighi fiscali, ovvero era una società cartiera che serviva solo per far risultare acquisti intracomunitari in esenzione IVA e rivendere alla ricorrente la merce con l’applicazione regolare dell’IVA. L’acquirente finale, ovvero l’odierna ricorrente, versava l’IVA alla XXX, senza che questa, a sua volta, provvedesse al versamento dell’imposta incassata.

Il fenomeno evasivo riconducibile alle fatture soggettivamente inesistenti non rileva, per ciò che attiene all’utilizzatore poiché, trattandosi di fatture rappresentanti comunque operazioni oggettivamente vere, i costi in esse rappresentati sono reali, inerenti ed effettivamente sostenuti dal destinatario del documento, per cui, laddove siano certi e precisi, non vi possono essere ostacoli alla loro deducibilità sul piano fiscale. Non si può sindacare sul fatto che per il periodo in contestazione, nel totale dei ricavi dichiarati erano inseriti anche i ricavi di cui alle contestate fatture. La parte ha presentato regolare dichiarazione e pagate le relative imposte. Infatti l’Ufficio non effettua contestazioni in tal senso.

Anche la Corte di Giustizia europea (cfr. Corte Giustizia Ue, Sez. III, Pres. Rosas, Rel. Von Bahr, sent. 12 gennaio 2006, cause riunite C-354/03, C-355/03 e C-484/03, che afferma: «Il diritto di un soggetto passivo che effettua simili operazioni di dedurre l’Iva pagata a monte non è pregiudicato dal fatto che, nella catena di cessioni in cui s’inscrivono tali operazioni, senza che il medesimo soggetto passivo lo sappia o lo possa sapere, un’altra operazione precedente o successiva a quella realizzata da quest’ultimo, sia inficiata da frode all’Iva») ha avuto modo di pronunciarsi su casi analoghi, affermando il principio che un’impresa che ha partecipato inconsapevolmente a un «illecito carosello» non deve subirne le conseguenze per cui le sue operazioni devono essere valutate indipendentemente dal disegno complessivo dei terzi. La giurisprudenza italiana che si è formata afferma il principio che le operazioni illecite realizzate dalla società a capo della catena non discende automaticamente il disconoscimento della rilevanza fiscale delle operazioni poste in essere a valle in capo a società terze.

In tal modo si da piena attuazione al pacifico principio dettato dalla Corte di Giustizia UE, secondo cui “il diritto alla detrazione può essere negato a un soggetto passivo solamente qualora si dimostri, alla luce di elementi oggettivi, che detto soggetto passivo, al quale sono stati ceduti beni posti a fondamento del diritto a detrazione, sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con il proprio acquisto partecipava in un’operazione che s’iscriveva in un’evasione dell’IVA commessa dal fornitore o da un altro operatore”.

Posto che il diniego alla detrazione dell’IVA è un’eccezione ai principi fondamentali della stessa, l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di dimostrare adeguatamente sulla base di elementi oggettivi che il soggetto passivo era a conoscenza o avrebbe dovuto essere a conoscenza che l’operazione s’iscriveva in un’evasione commessa dal fornitore cedente.

Nella fattispecie in esame l’Agenzia delle Entrate si è limitata a contestare quanto risultava dal p.v.c. emesso dalla Guardia di Finanza presumendo che la ricorrente, ovvero il legale rappresentante, fosse a conoscenza della frode fiscale a monte.

Tale presunzione è stata sconfessata dal Pubblico Ministero della Procura della Repubblica di XXX con la richiesta di archiviazione del procedimento penale a carico del legale rappresentante della XXX perché non era provato che “la XXX fosse, in ogni caso, consapevole di partecipare all’eventuale circuito fraudolento ascrivibile al soggetto fornitore”.

In assenza di prove, dirette a dimostrare il coinvolgimento o l’assenza di buona fede dell’acquirente, il diritto alla detrazione non può essere in alcun modo negato.

Gli elementi offerti dall’Amministrazione finanziaria sulla consapevole partecipazione della società ricorrente alla frode fiscale sono di poco rilievo perché il prezzo pagato era uguale a quello praticato dalle altre società in materia; il prezzo di rivendita non era concorrenziale con le altre società del ramo; i pagamenti erano avvenuti con regolare tracciabilità. La mancanza di un magazzino/deposito non era affatto indice di sospetto e nemmeno la circostanza che la merce partisse dalla venditrice estera per finire direttamente all’acquirente ricorrente, poteva essere motivo di sospetto.

Dalla documentazione prodotta dalla ricorrente non emergono elementi che confermano un beneficio economico/fiscale smentendo, così, le affermazioni dell’Ufficio che non ha dimostrato il contrario. In conformità ha deciso che la CTP di XXX l’annualità 2011.

Da quanto sopra il ricorso dev’essere accolto. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Commissione Tributaria Provinciale di Roma, sez. 7ˆ accoglie il ricorso e condanna la convenuta alle spese di giudizio che liquida in euro 4.000,00 oltre oneri di legge.

***

Comm. Trib. Reg. per le Marche Sezione/Collegio 5

Sentenza del 09/01/2017 n. 6 -

FATTO E DIRITTO

La società IL P. Srl., nella persona del legale rappresentante pro tempore B. A., ha depositato appello avverso la sentenza 934/2015 depositata il 17.11.2015 che ha rigettato il ricorso del contribuente, finalizzato all'annullamento dell'avviso di accertamento n. TQ9034T01380/2014 in materia di IRES, IRAP, IVA e sanzioni per l'anno d'imposta 2006, emesso dall'Agenzia delle Entrate Direzione provinciale di Pesaro-Urbino. -L'Ufficio ha resistito con controdeduzioni. Il contribuente in data 15.3.2016 ha depositato memoria e perizia asseverata e ulteriore memoria In data 8.11.2016 Nel giudizio di primo grado, a seguito della riunione di quattro ricorsi, si sono costituite, quali parti private, la srl. Il P. e A. B. Gli atti impugnati sono stati l'avviso di accertamento 2006 109034T01380, che riguarda la presente sentenza, l'avviso di accertamento 2008 TQ9034T01419, l'avviso di accertamento 2009 TQ9034T01421, infine l'avviso di accertamento 2009 TQ9014T01430. Ciascuno degli avvisi impugnati descrive, anche a mezzo di motivazione che rinvia a processi verbali di constatazione redatti dalla G.d.F., dei quali si riproduce comunque il contenuto essenziale, gli indicatori di evasione fiscale realizzata mediante l' utilizzo di fatture per operazioni parzialmente inesistenti. La Direzione Provinciale della Agenzia delle Entrate con invito datato 5.9.2014 ha richiesto alla società Il P. l'esibizione della documentazione contabile relativa ai rapporti intrattenuti nel 2006 e nel 2008-2009 con l'A.S. D. R. M. che, a sua volta, era stata oggetto di verifica fiscale generale condotta dalla Guardia di Finanza. i verificatori avevano infatti ritenuta che l'ente sportivo mettesse a disposizione degli sponsor, tra i quali l'attuate società appellante, dei veri e propri "pacchetti" di risparmio fiscale atteso che le prestazioni pubblicitarie erano inesistenti o di importo superiore a quanto effettivamente pagato in misura pari all'80% con retrocessione dell'esubero all'azienda sponsor. Quanto al B., si rilevava che egli era socio al 99% e vi era una situazione di ristretta base azionaria essendo il restante 1% di pertinenza di B. E., con conseguente operatività della presunzione di distribuzione degli utili portati dai risparmi fiscali illeciti ed omessa dichiarazioni del B. ai fini dell'lrpef. L'avviso TQ9014T01421 inoltre conteneva un secondo rilievo concernente la detrazione dell'Iva di 64975,40 ?, non avendo riconosciuto l'inerenza dei lavori di ristrutturazione di un immobile di lusso in SantAngelo in Lizzola locato dalla società ad A. B.. Ciò avveniva sul presupposto che il bene (villa, dependance e piscina) non rientrasse nell'esercizio dell'attività d'impresa, che nel periodo dal 2009 al 2011 B. lo avesse usato senza contratti con la società, che la locazione fosse stata stipulata solo nel 2012 dopo la modifica del testo dell'art 67 del Testo unico sulle imposte dirette, con la conseguenza che il bene in parola dovesse considerarsi "patrimonio" e non "merce" e per il B. la sua utilizzazione fosse un fringe benefit da sottoporre a tassazione. La difesa della società e di A. B. ha impugnato ciascun avviso sostenendo che l'Agenzia avesse esercitato i poteri d'accertamento quando erano ormai scaduti i termini previsti dall'art. 43 del O.P.R. o. 600 del 2973, in quanto nel caso di specie l'ufficio non poteva avvalersi del raddoppio dei termini prevista in caso difatti di rilevanza penale; rilevava che era stato violato il diritto di difesa essendo la motivazione carente per omessa allegazione degli atti presupposti e comunque congegnata con il richiamo di atti destinati ad aver efficacia nei confronti di un diverso soggetto (l'ASD R.M.); osservava che, nel merito, i rilievi dell'Ufficio erano infondati in quanto non era stata data la prova in ordine al meccanismo di funzionamento della frode ed al ruolo concretamente svolto dalla società e da B., tanto più che per effetto della previsione introdotta dall'art. 90 della legge n. 289 del 2002 la società si poteva giovare della presunzione assoluta di legittimità delle deduzioni de) costi portati da fatture per sponsorizzazioni a favore di enti iscritti al Coni. Quanto alla effettività delle prestazioni, essa si poteva ricavare dalle fotografie dei cartelloni con il logo aziendale esposto in occasione delle gare cui prendevano parte le squadre della ASD. Veniva inoltre rilevato che la Commissione tributaria provinciale di Pesaro aveva emesso la sentenza n, 82/3/2010 con cui l'avviso di accertamento R9P035300869 era stato annullato; di conseguenza la perdita di esercizio dichiarata per l'anno d'imposta 2006 aveva ricevuto il crisma della legittima detrazione e la convalida della sua effettività. Ha poi avanzato eccezioni di tipo formale o procedurale in particolare concernenti il valore delle dichiarazioni di terzi nel processo tributario e la conducenza probatoria degli elementi raccolti dall'ufficio e pure sulla legittimità della presunzione di attribuzione degli utili al B., non avendo alcuna diretta incidenza il fatto che egli possedesse il 99% del capitale sociale. Infine, in sede di udienza del procedimento di primo grado, il difensore del ricorrente ha eccepito la violazione del diritto di difesa nella misura in cui gli era stato negato o reso difficoltoso esercizio del diritta di accesso agli atti amministrativi dell'Agenzia delle Entrate, avendo egli formulato una istanza in proposito in data 31.8.2015 rimasta senza risposta sino al 28.9.2015 (vedi nota AE protocollo 47685), giorno in cui gli si comunicava che gli atti richiesti (accertamenti a carica ASD R.M.) erano consultabili in ufficio. All'udienza di discussione dinanzi alla C.T.P., l'Agenzia delle Entrate ha prodotto provvedimento di autotutela n. 48654 datato 1.10.2015 con cui, in relazione all'avviso di accertamento TQ9035000133, si era disposta l'annullamento a seguito della acquiescenza prestata sulla sentenza della Commissione Tributaria Regionale delle Marche n. 340/4/2014 del 21.1.2014, depositata il 22.10.2014. In pratica, l'ufficio riconosceva che essendo passata in giudicato la sentenza n. 340, la perdita dichiarata dalla società, per il 2006 pari a 176.516 E, ridotta però a 116.516 E. in considerazione del maggior reddito accertato con l'indeducibilità dei costi, avesse determinato l'azzeramento dell'Ires senza incidere sull'Iva che comunque sui costi per fatture inesistenti o "gonfiate" era dovuta. Nella motivazione della sentenza appellata, che ha respinto il ricorso condannando il contribuente alle spese di giudizio, il giudice di prime cure ha osservato che: 1) non si è verificata la decadenza dal potere di accertamento perchè nel caso di specie l'Agenzia poteva beneficiare del raddoppio del termini ordinari. In aderenza a quanto stabilito dalla Corte Costituzionale (sentenza 247 del 2011), e dalla Corte di Cassazione (tra le tante vedi sentenze SS liii 1540012008 e sezione IV 1114712014), la denuncia penale è un obbligo per il pubblico ufficiale quando emergono e sono riconoscibili da parte sua con ragionevole sicurezza dementi di un reato tributario; occorre che tale denuncia sia presentata alla A.G. e sia presa in carico anche se non rilevante l'esito del processo. Nel caso di specie, ai militari della Guardia di Finanza che hanno eseguito l'accesso presso la sede della ASD R.M. si era presentato un quadro certamente suscettibile di accertamento da parte del Giudice penale, risultando il ricorso sistematico a meccanismi di fatturazione falsa o sovraffatturazione nei confronti di numerosi altri imprenditori, con la necessità di estendere i controlli anche a costoro dislocati su tutto Il territorio nazionale. La lettura restrittiva della norma operata dalla difesa non è condivisibile, atteso che specie nei casi complessi le frodi Fiscali sono di assai difficile accertamento e sovente si perviene a progressive incriminazioni a cascata di una pluralità di soggetti; 2) la fase precontenziosa si é svolta correttamente, tanto che la parte ha avuto modo di svolgere con accuratezza ed ampiezza le proprie doglianze, atteso che i rilievi mossi alla parte sono compendiati con sinteticità ma accuratezza in ciascuno degli atti impugnati, sono citati in essi e potevano essere consultati sin dai giorni immediatamente successivi atte notifiche degli avvisi (avvenute nel 2014) con ciò togliendo valenza all'assenta violazione del diritto di difesa in relazione all'istanza di accesso agli atti che la parte ha proposto nel 2015 senza aver dato prova di non aver potuto complete tale atto in precedenza per ragioni oggettive non imputabili al contribuente; 3) il richiamo ad altri atti non è compiuto In modo parziale, atipico o confuso: per contro ogni avviso riportava in maniera articolata in punto di fatto e di diritto le violazioni riscontrate; 4) la determinazione dell'imponibile fiscale è avvenuta correttamente, in quanto i ricorrenti in punto di esistenza totale delle prestazioni sino alla concorrenza del prezzo pagato in fattura hanno offerto solo petizioni di principio e non prove obiettivamente verificabili. Per contro, con una serie articolata di riscontri 4ocurnentali e logico gli accertatori hanno dimostrato la ASD R. M. era una sostanziale cartiera che offriva "pacchetti fiscali" a numerose aziende sponsor con conseguente disconoscimento dell'Iva a credito ed indeducibilità dei costi ai fini delle imposte dirette (art. 14 comma 4 bis della legge n. 537 del 1993) ed onere della prova da assolvere a carico del contribuente. In effetti solo qualora l'Amministrazione contesti rindebita detrazione dell'i.v.a. o la deduzione di costi sostenuti per operazioni soggettivamente inesistenti, il contribuente ha onere di provare di non aver avuto consapevolezza della falsità ideologica delle fatture emesse a fronte delle operazioni. Tale prova non può essere fornita dimostrando che la merce é stata ricevuta (o la prestazione eseguita) e ne è stato effettuato li pagamento, perché si tratta di elementi non concludenti. La nozione di fattura inesistente non comprende solo l'ipotesi di mancanza assoluta della operazione fatturata, ma ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale, ivi compresa la inesistenza soggettiva (Cass. N. 6237812005). La nozione di fattura soggettivamente inesistente presuppone da un lato la effettività della prestazione resa a favore della impresa che utilizza le fatture, dall'altro la simulazione soggettiva ossia la provenienza della prestazione da imprenditore diverso da quello indicato nelle fatture (Cass. N. 2946712008). Nella ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti, il diritto alla detrazione della imposta versata in rivalsa al soggetto diverso dall'effettivo cedente-prestatore che ha tuttavia emesso la fattura non sorge per il solo fatto della avvenuta corresponsione della imposta ma richiede anche che il committente-cessionario che invochi la detrazione fornisca sul proprio stato soggettivo in ordine alla altruità della fatturazione riscontri precisi, non limitandosi a sostenere l'avvenuta consegna della merce o il pagamento di essa e dell'i.v.a. riportata in fattura emessa dal terzo, trattandosi di circostanze non decisive in rapporto alle peculiarità dei meccanismo dell'i.v.a, e dei relativi, possibili, abusi (Cass. N. 1950/2007). Analogamente sotto il profilo della imposizione diretta il diritto alla deduzione del costi è possibile solo se emerge chiaramente la buona fede del contribuente che deve dimostrare di non aver avuto consapevolezza della falsità ideologica delle fatture o della diversità tra soggetto effettivamente autore delle prestazioni e quello indicato nelle fatture. Altrettanto autorevole principio della Corte di Cassazione (Sentenza n, 735 del 19.1.2010) conferma l'orientamento della Commissione: se è vero che la riconosciuta inesistenza delle operazioni fatturate sotto il profilo soggettivo non esclude la deducibilità ai fini della imposizione diretta del costi sostenuti per l'acquisto del beni da soggetto diverso da quello indicato in fattura, la prova della esistenza, inerenza e competenza del relativo costo grava sul contribuente e va assolta con elementi certi e precisi. Non è sufficiente affermare che l'impresa abbia comunque acquistato i beni fatturati da soggetti differenti da quelli indicati in quanto così facendo non viene fornito alcun elemento utile e certo per la qualificazione corretta del costo e della sua inerenza. Se poi si propendesse per la natura 'gonfiata" delle prestazioni non vi è neppure un principio di prova in ordine alla effettività delle stesse prestazioni casi come della inesistenza della retrocessione del prezzo, a fronte di una pluralità di elementi raccolti dall'ufficio a sostegno della tesi della inesistenza oggettiva delle prestazioni (tra le tante, si rimanda al principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione sezione V con la sentenza n. 9108 del 6.6.2012, rv 622993). A tal fine, è bene riepilogare che è stato provato che l'iscrizione al Coni della ASD ha valenza nell'ambito dell'ordinamento sportivo nel senso di inibire al Giudice di sindacare la sussistenza dei presupposti per l'affiliazione; l'articolo 90 citato non può però essere interpretato nel senso di istituire una presunzione legale di esenzione fiscale delle prestazioni pubblicitarie o di sponsorizzazione fatturate dall'ente sportivo ad un imprenditore. Le fotografie esibite dalla parte non hanno alcun crisma di ufficialità, anche perchè non possono essere collocate con certezza in un dato periodo di tempo. lo ordine alla legittimità della presunzione della retrocessione, si evidenzia che la R. M. aveva istituito una contabilità parallela od occulta sotto forma di appunti rinvenuti dai Finanzieri. In tali documenti era sistematicamente annotato il flusso delle restituzioni dopo l'incasso delle fatturazioni dagli sponsor e, con riferimento alla società Il P., tale deduzione è avvalorata dalla acquisizione di un foglio manoscritto con la scritta BEZZ, per logica riconducibile al socio di maggioranza della società ricorrente. Va poi considerato che Il P. si occupa di locazione di immobili e risulta avere investito nello sport somme assai cospicue considerando anche la perdita del 2006 che per effetto della sentenza della CTR di Ancona divenuta definitiva può dirsi effettiva ed esistente. 5) la fondatezza della ripresa a tassazione a carico della società, considerando la ristretta base azionaria, legittima la presunzione che i minori costi abbiano dato luogo a favore dei soci di utili ripartiti e non dichiarati in proporzione alle rispettive quote di partecipazione (B.A. 99%). 6) in ordine al rilievo dell'avviso impugnato col ricorso 960: l'immobile di lusso è sempre stato nella disponibilità del B. anche prima del 2012, avendo egli fissato la sua residenza nello stesso al pari dei familiari; i beni immobili de Il P. sono in prevalenza capannoni industriali; nel 2012 (24.2.2012) alcuni arredi sono stati consegnati al coniuge del B., non facente parte della società; la ristrutturazione della villa, dependance e piscina è costata 324.877,10 euro, e di essa hanno beneficiato il B. e la famiglia, ma il costo è andato ad incidere sull'imponibile della società con difetto del requisito dell'inerenza; l'aver indicato l'indirizzo dell'immobile quale sua residenza sin dal 1989 è indizio per sostenere che esso esisteva già a quell'epoca e paralizza l'eccezione sollevata dalla parte, in base a documentazione non dirimente, secondo cui esso nel 2009 ancora non esisteva. La società contribuente ha presentato motivi di appello articolati in 44 cartelle. Come anticipato, l'Ufficio ha resistito con memoria di controdeduzioni. Osserva la Commissione che l'appello è fondato, sicchè la sentenza di prime di cure deve essere riformata integralmente. Le spese seguono la soccombenza. Assorbente è la fondatezza degli argomenti riguardanti la illegittimità del raddoppio dei termini per l'accertamento in presenza di indizi di reato e la impossibilità di affermare la sussistenza di una frode "carosello" in relazione all'anno d'imposta 2006, oggetto di accertamento, alla stregua degli atti allegati all'avviso di accertamento notificato al contribuente e della stessa motivazione di quest'ultimo. Invero, il raddoppio dei termini previsto per l'accertamento tributario dagli artt. 43 del d,P.R. n. 600 del 1973 per IRPEF e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per l'IVA, pretende la «presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre 'termini di decadenza" [CASS. 1672812016]. L'ampliamento dei termini, insomma, presuppone l'obbligo di denuncia penale, ai sensi dell'art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000" [CASS. 11171/2016). Ne consegue che spetta al giudice tributario controllare in via incidentale se ricorrano i presupposti dell'obbligo di denuncia, compiendo una valutazione cd. di prognosi postuma "ora per allora" circa la loro ricorrenza e accertando se l'amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità ovvero abbia fatto uso pretestuoso o strumentale delle disposizioni denunciate al fine di usufruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento. Orbene, nel caso di specie la G.d.F. in relazione all'anno d'imposta 2006 non ha ravvisato la sussistenza di condotte penalmente rilevanti ex L. 74/2000, riferibile o meno al contratto di sponsorizzazione ["partnership"] tra S.S. R.M. (società oggetto di verifica] e IL P. SRI. E' stato accertato che in data 29.6.2006 è stata emessa la fattura n. 33 emessa da SS R. M. e utilizzata da IL P. SRL mediante inserimento in dichiarazione, per un imponibile di E. 60000,00, la fattura risulta pagata con assegno. L'allegato 2 all'avviso di accertamento, consistente nell'estratto del p.v.c. datato 14.11.2012, non reca alcuna contestazione specifica: soltanto la indicazione della fattura in esame. Dalla motivazione dell'avviso di accertamento si apprende che in relazione all'anno d'imposta 2006 gli operanti verificatori della Guardia di Finanza non hanno ravvisato alcuna violazione del DLGS 74/2000, né alcuna fattispecie penalmente rilevante. E' stato invece l'ufficio ad affermare "per analogia" o "per presunzione" la inesistenza della operazione commerciale sottostante alla fattura 33/2006, dunque delle prestazioni afferenti il contratto di sponsorizzazione, sulla base della motivazione che segue. Secondo l'amministrazione finanziaria, le della G.d.F. di Pesaro, datate 21.9.2011 e soprattutto 14.11.2012, redatte a carico della associazione sportiva dilettantistica S.S. R.M., documentano in generale l'avvenuta emissione di fatture in favore di diverse società tra le quali IL P. S.R.L. relative a sponsorizzazioni sportive in tutto o in parte inesistenti. In particolare, nel processo verbale di constatazione suddetto si legge che la SS R.M., per mezzo dei suoi rappresentanti legali, ha realizzato mediante sovrafatturazioni simulate un articolato sistema di frodi ed altri artifizi contabili e finanziari, finalizzati ad abbattere la conseguente esposizione reddituale per mezzo di costi fittizi. La suddetta frode fiscale consisteva nel mettere a disposizione dei potenziali "sponsor" un vero e proprio "pacchetto" di risparmio fiscale con emissione di fatture per importi sovradimensionati, aventi ad oggetto prestazioni pubblicitarie, che avrebbero garantito agli sponsor un costo fittizio deducibile dal reddito e una indebita detrazione IVA. la natura illecita e penalmente rilevante ex art. 2 L. 74/2000 delle condotte veniva definitivamente acclarata attraverso il rinvenimento di documentazione extracontabile che, con specifico riferimento alla società Il P. SR.L, aveva natura obiettiva e indiscutibile, rappresentata dal rinvenimento di un foglio manoscritto, nel quale è riportata la percentuale di restituzione "in nero" relativamente ai pagamenti eseguiti nell'anno d'imposta 2009. In particolare, essa è risultata essere pari al 75%: si tratta di 60.000,00 E. restituiti su un importo complessivo di E. 80.000,00 dell'importo di cui alla fattura 19/2009, con l'ulteriore specificazione del soggetto beneficiano della dazione In denaro, indicata con le iniziati "BEZZ.". I risultati emersi per l'anno 2009 sono stati dunque dall'ufficio, non dalla Guardia di Finanza, trasposti e ritenuti validi anche per l'anno 2006 ed anche in ordine alle percentuali presuntivamente non pagate perché oggetto di restituzione. Più in generale, poi, la inesistenza, parziale o totale, delle prestazioni oggetto del contratto di sponsorizzazione è stata desunta dagli esiti generali delle indagini della G.d.F. nei confronti della società sportiva dilettantistica R. M., secondo le quali è venuto ad emersione un sistema di frode fiscale consolidato e di grande rilevanza, sia in termini di importi evasi sia di diffusione sul territorio per il numero di soggetti coinvolti. In particolare, l'amministrazione ha operato mediante deduzioni ed ha così motivato il proprio ragionamento: "Dopo aver ricostruito il sistema adottato nei rapporti con la squadra della R.M., amministrazione ha ragionevolmente considerato non deducibile il costo delle varie sponsorizzazioni. Inoltre, l'Agenzia delle Entrate ha effettuato una valutazione ulteriore e diversa rispetto ai verificatori, motivando l'indeducibilità, oltre che sulla mancanza dei necessari requisiti di legge (tra cui la certezza), anche sulla valutazione per cui tale importo residuo può rappresentare il prezzo pagato agli enti ed alle associazioni sportive per realizzare un vantaggio illecito (appunto, il prezzo per acquistare quel vantaggioso pacchetto di risparmio fiscale ipotizzato dalla G.d.F.). Giova precisare che tale modus operandi è stato accertato dalla GDF con assoluta certezza per l'anno 2009.......e presunta per gli altri anni d'imposta, valorizzando non solo la documentazione extracontabile rinvenuta presso la R.M. ma anche .... ulteriori elementi".......Da qualsiasi angolo visuale vengano analizzati, i costi per sponsorizzazioni sportive dedotti dalla società presentano profili di criticità ed anomalia, anche perché la parte privata non ha saputo fornire una prova convincente a confutazione delle tesi dell'ufficio. Invero, per gli anni 2006 e 2008 sottoposti anch'essi a verifica da parte della GDF, ed oggetto di apposito invito dell'ufficio a presentare la documentazione afferente il rapporto con la R.M., la ricorrente si è limitata a presentare documentazione fotografica senza data con indicazione su cartelloni pubblicitari della propria ragione sociale .....Occorre sottolineare e ribadire la rilevanza probatoria della documentazione extracontabile rinvenuta dalla G.d.F., che dimostra come venissero gestiti i rapporti tra la società IL P. SRL e R. M.: basti rammentare il rinvenimento di vari fogli manoscritti in cui i responsabili della squadra annotavano sistematicamente (per IL P. come per molti altri soggetti) gli importi ricevuti e gli importi restituiti, secondo il sistema del " ritorno" descritto in precedenza .......Tale documentazione extracontabile si aggiunge alle già richiamate anomalie e criticità dei costi per sponsorizzazione quali: l'appartenenza della società IL P.SRI ad un settore economico "locazione immobiliare di beni propri" non correlato al mondo sportivo/calcistico e quindi con un prevedibile scarso ritorno in termini economici; la visibilità prettamente locale della pubblicità garantita dall'attività sportiva svolta dall'associazione sportiva di livello dilettantistico; la non congruità del costo complessivo contabilizzato in relazione al risultato civilistica dichiarato: nel 2006 costo contabilizzato E 60.000 (oltre E 12.000 di IVA) e risultato civilistico dichiarato (E -176.516,00 perdita); nel 2008 costo contabilizzato 20,000 (oltre E 4.000 di IVA) e risultato civilistico dichiarato (? -106.805,00 perdita); nel 2009 costo contabilizzato E 60.000 (oltre E 20.000 di VA) e risultato civilistico dichiarato (E -122.741,00 perdita) ......A tal riguardo, l'appellante per sostenere la congruità del costo, non lo confronta, come sarebbe logico, all'utile civilistico ma al reddito dichiarato, il quale tuttavia "sconta' le variazioni in aumento effettuate ai fini fiscali: è sufficiente esaminare una qualunque delle dichiarazioni presentate dalla società negli anni d'imposta in contestazione per constatare che la società è sempre in perdita". Osserva la Commissione che gli illeciti penali sono tassativi e non ravvisabili "per analogia" o per presunzioni. Gli organi verificatori non hanno accertato né indizi né prove della specifica condotta di utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti in ordine all'anno d'imposta 2006, dunque in ordine alla fattura 33/2006. In altri termini, né gli ufficiali della Guardia di Finanza né questa Commissione sono in grado di rinvenire agli atti indizi o prove che la prestazione di sponsorizzazione per l'anno 2006 non sia mai stata realmente eseguita ovvero che il prezzo, regolarmente versato mediante assegno, sia stato successivamente totalmente o parzialmente restituito. Secondo 'Ufficio, questa sarebbe la conseguenza naturale della natura di cartiera della società emittente le fatture. Ma per un verso questa caratteristica non risulta né dall'avviso di accertamento 2006 né dal p.v.c. ad esso allegato, per altro verso non è noto "da quando" eventualmente la società SS R. M. abbia funzionato "come cartiera", se ciò sia avvenuto dalla costituzione della medesima [ignota alla Commissione] ovvero successivamente e se eventualmente successivamente al 2006. Risulta quindi impossibile per la Commissione accertare la sussistenza di un reato riconducibile al Dlgs. 74/2000, sia pure in via incidentale. Sia pure a livello indiziario, infatti, per affermare la legittimità del cd. raddoppio dei termini per l'accertamento, è pur sempre necessario poter ricostruire un minimum di condotta penalmente rilevante: il giudice tributario, infatti, opera in questo caso in via incidentale come giudice penale, sicché si applicano i principi tipici di quel settore normativa, prima fra tutti quelli di materialità e di offensività, costituzionalmente tutelati. Sulla base dei documenti versati in atti, non è possibile in alcun modo affermare che sussistano elementi indiziari o probatori per affermare il compimento, nell'anno 2006, di operazioni commerciali di sponsorizzazione "fasulle", in toto o in parte, delle quali la società IL P. S.R.L. si sia avvalsa mediante inserimento in dichiarazione. Neppure a questo scopo possono valere i presunti, ulteriori, indizi di natura logica ipotizzati dall'ufficio. Ed invero, quanto all'appartenenza della società il P. SRL ad un settore economico "locazione immobiliare di beni propri" non correlato al mondo sportivo/calcistico e quindi con un prevedibile scarso ritorno in termini economici", trattasi di affermazione totalmente illogica e irrazionale. Non vi infatti è alcun collegamento diretto tra attività economica svolta dallo sponsor e attività del soggetto sponsorizzato: rilevante è solo, dal punto di vista economico, che il soggetto sponsorizzato abbia una potenzialità "amplificante" del marchio, nei senso di renderlo noto ad una generalità indeterminata di soggetti e tale da aumentare e approfondire le opportunità di vendita et similia. Nel caso di specie, attraverso la pubblicità presso il sito [stadio] dove la società calcistica opera, alla presenza di un pubblico più o meno considerevole, nulla esclude che le opportunità di locazione o vendita di appartamenti aumentino. Ragionando come fa l'Ufficio, si dovrebbe affermare che le sponsorizzazioni concluse tra l'A.S. ROMA e la BARILLA negli anni '80 o, in tempi più recenti, tra JUVENTUS ed ARISTON, siano false, perché nessun legame sussiste tra il mondo del calcio e, i rispettivamente, quello alimentare o dell'arredamento. Né "la visibilità prettamente locale" della pubblicità ovvero il costo contabilizzato [60.000,00 E.] paiono in assoluto rispettivamente troppo poca cosa avvero eccessivi rispetta al costo complessivo contabilizzato in relazione al risultato civilistico dichiarato. Invero, Montecchio è frazione di Vallefoglia, che somma 15.000 abitanti, ma la formazione del locale comune milita in prima categoria, sicchè è ragionevole ipotizzare che gli spettatori locali abbiano di fatto frequentato le partite della R.M., La cui storia è così sintetizzata su Wikipedia: "Dalla data della fondazione, il R. M. milita nei campionati minori marchigiani, fino all'avvento in Promozione avvenuto nel 1972. Rimane nel più alto livello regionale per ben 28 stagioni consecutive (19 di Promozione e successivamente 9 di Eccellenza), sfiorando in più occasioni il salto di categoria, coi secondi posti ottenuti nel 1974, 1980 e le eliminazioni in finale di playoff del 1998 contro la V. P. e dei 1999 contro il F.. Il riscatto avviene del 2000, quando il R.M. vince il campionato di Eccellenza Marche con una trionfale cavalcata e accede di diritto al massimo livello dilettante, che ritorna proprio in quella stagione a chiamarsi Serie D. Il R.M. milita in Serie D per un decennio, collezionando risultati di alto livello con tre qualificazioni ai playoff nel 2003, 2007e 2008, compreso il secondo posto assoluta dietro al R. 2003 ma anche di basso livello con due salvezze ai playaut nel 2004 e 2009 prima di retrocedere nel 2010". Non sembra quindi che un sito che può potenzialmente godere di qualche migliaio di spettatori, con la squadra locale più importante che milita in serie D, non sia compatibile con una sponsorizzazione annuale per il 2005 di 60.000,00 E. Quanto al "risultato civilistico dichiarato", con una perdita di oltre 176.000,00 E., esso non può essere inquadrato, senza disporre dei risultati gestionali degli esercizi precedenti. E' infatti rispetto ad essi che deve essere valutata, nel complesso ed a medio termine, la convenienza o l'opportunità di ricorrere ad una promozione pubblicitaria, stipulando un contratto, annuale si badi, di sponsorizzazione, per un costo di 60.000,00 E. Può darsi infatti che la perdita gestionale richiamata sia stata la prima, successiva ad una serie di risultati gestionali positivi. E la decisione di investire in pubblicità, può essere stata dettata in parte propria dalla volontà o speranza di superare il momento di difficoltà ovvero ridurre le perdite. Che poi questo non si sia verificato è ovviamente una constatazione a posteriori, che quindi come tale nulla aggiunge e nulla toglie alle valutazioni prognostiche effettuate dall'imprenditore. In merito infine alle risultanze delle verifiche della G.d.F. sulla natura di "cartiera" della società emittente le fatture, si è già detto che queste non risultino dall'avviso di accertamento relativo all'anno d'imposta 2006. Ma, anche a voler considerare quanto dedotto dall'ufficio negli avvisi di accertamento relativi all'anno d'imposta 2009 [trattati separatamente dalla Commissione], ebbene devesi rilevare che nessun elemento ulteriore è possibile desumere in relazione alla ricostruzione della funzionalizzazione a cartiera della società R. M.. E' appena il caso di rammentare, sul punto, come "…l'Amministrazione finanziaria, che contesti la cd. "frode carosello", deve provare, anche a mezzo di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, gli elementi di fatto attinenti al cedente (fa sua natura di cartiera", 'inesistenza di una struttura autonoma operativa, il mancato pagamento dell'I.V.A.) e la connivenza da parte del cessionario, indicando gli elementi oggettivi che, tenuto conto delle concrete circostanze, avrebbero dovuto indurre un normale operatore a sospettare dell'irregolarità de)le operazioni" [CASS. 17818/2016J, Nulla di tutto ciò è stato fatto dall'Ufficio, il quale dunque irritualmente mischia i profili dell'onere della prova spettante alle parti processuali, nel senso di utilizzare come un tutto indistinto i presunti indizi raccolti dall'ufficio e le manchevolezze del contribuente. In realtà, una volta accertato che l'ufficio non ha assolto al proprio onere probatorio circa la inesistenza delle prestazioni oggetto della fattura 3312006. non è necessario procedere ad alcuna ulteriore verifica del comportamento diligente o della buona fede del contribuente, come pure imposto all'orchè l'onere probatorio gravante sull'amministrazione finanziaria sia risultato assolto. Consegue in forza di tutto quanto sopra esposto, che l'avviso di accertamento per 'anno 2006 è stato illegittimamente emesso oltre i termini di decadenza stabiliti dagli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 57 del d.P.R. n. 633 dei 1972, quando l'ufficio era decaduto dal relativo potere di rettifica. L'appello del contribuente va pertanto accolto, l'avviso di accertamento impugnato annullato e la sentenza appellata riformata "in parte qua". Le spese, quantificate in E. 6.000,00 oltre accessori di legge se ed in quanto dovuti, seguono la soccombenza. P.Q.M. la Commissione accoglie l'appello del contribuente e per l'effetto annulla l'avviso di accertamento impugnato, previa riforma della sentenza impugnata. Condanna l'appellato alle spese di giustizia, che liquida in E. 6000,00, oltre accessori di legge se ed in quanto dovuti.

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Commissione Tributaria Provinciale di Bergamo

Sentenza del 29/06/2017 n. 367 - Sezione/Collegio 2

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con distinti ricorsi, ritualmente notificati, il XXX (di seguito, solo: XXX) ha impugnato gli avvisi d'accertamento notificatigli dall'Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Bergamo, per gli anni d'imposta 2010 e 2011, con i quali, sulla scorta delle risultanze di un processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza dell'ottobre XXX, gli è stato contestato di essere parte di un ampio sistema frodatorio, attuato con la costituzione di società e cooperative, dedite alla di mano d'opera a terzi, tutte gestite da meri prestanome. In base a detto presupposto, la contribuente è stata oggetto di dettagliate indagini finanziarie, all'esito delle quali è emerso che le movimentazioni bancarie in accredito e in addebito sulle relazioni intrattenute dal XXX non erano state considerate nella determinazione del suo reddito. Più in particolare, l'Amministrazione finanziaria ha eccepito che negli anni d'imposta in discussione erano state accreditate ingenti somme sui conti del ricorrente per le quali questo non era stato in grado di documentare la provenienza; e che, parimenti, anche in relazione ai prelievi di denaro contante e alle altre operazioni registrate nella posta dare, il XXX aveva mancato di fornire l'indicazione dei beneficiari finali di detti flussi. Sicché, in forza della presunzione voluta dall'art. 32 del D.P.R. n. 600/73, tutti i prelevamenti e i versamenti sono stati imputati dall'Agenzia resistente a ricavi, con conseguente rideterminazione del reddito d'impresa ai fini IRES, accertamento del maggior valore della produzione e dell'IVA. Con riferimento al solo anno d'imposta 2011, l'avviso impugnato ha altresì contestato al contribuente di aver dedotto costi sulla base di fatture emesse dalla s.r.l. XXX per operazioni soggettivamente inesistenti, e l'Amministrazione finanziaria ha conseguentemente proceduto al recupero dell'IVA esposta nelle relative fatture della predetta società. Con gli atti introduttivi del giudizio (dei quali è stata disposta la riunione per connessione oggettiva e soggettiva), il XXX ha contestato sotto ogni profilo il fatto costitutivo della pretesa erariale. In particolare, ha eccepito l'illegittimità degli avvisi impugnati, in quanto: (i) fondati sul mero richiamo al processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza, non allegato agli atti d'accertamento, e comunque privi di una compiuta motivazione, evincibile solo attraverso il riferimento al citato verbale; (ii) sottoscritti da un soggetto diverso dal Direttore Provinciale di Bergamo dell'Agenzia delle Entrate; (iii) basati su elementi indiziari privi del requisito della precisione e concordanza, nonché su una erronea applicazione del disposto dell'art. 32 del D.P.R. n.600/ 1973, essendo tutti gli importi giudicati non giustificati dalla Guardia di Finanza regolarmente registrati in contabilità; e, da ultimo, (iv) affatto infondati nella parte in cui è stata recuperata a tassazione l'IVA sulle fatture emesse dalla s.r.l. XXX, che è soggetto costituito nell'anno XXX e regolarmente operante. Per queste (così sinteticamente riassunte) ragioni, il XXX ha domandato la dichiarazione d'illegittimità di tutti gli atti impugnati e il loro conseguente annullamento. Con note ritualmente depositate, si è ritualmente costituita in giudizio l'Agenzia resistente, la quale ha confutato, partitamente, ognuno dei motivi d'impugnazione, dei quali ha domandato la reiezione, sostenendo: che gli avvisi d'accertamento erano congruamente motivati attraverso il legittimo richiamo al contenuto del processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza di XXX, ritualmente notificato al legale rappresentante del XXX, il quale ha così potuto esercitare pienamente il proprio diritto di difesa; che inesistente doveva dirsi l'eccezione circa la mancata sottoscrizione dell'atto da parte del Direttore dell'ufficio competente, in base al testuale disposto dell'art. 42 del D.P.R. n. 600/1973; che, nel merito, il contribuente non era stata in grado di dimostrare di aver considerato nella determinazione del proprio reddito né i movimenti in accredito né quelli in addebito risultanti dall'esame delle relazioni bancarie ad esso intestate: dimodoché, il XXX non aveva assolto l'onere probatorio su di esso gravante, anche perché aveva omesso in sede di verifica di esibire alcun documento, libro e registro, dei quali non poteva pertanto tenersi conto nella presente sede contenziosa; che, in ogni caso, la documentazione depositata con i ricorsi non era sufficiente per provare che la contribuente ha considerato le movimentazioni bancarie in discussione. Quanto invece alle pretese operazioni soggettivamente inesistenti rese a favore del XXX dalla s.r.l. XXX, l'Amministrazione finanziaria ha rilevato che quest'ultima società si palesava un mero soggetto interposto, utilizzato quale “contenitore di forza lavoro al fine di eludere gli obblighi contributivi e fiscali”. L'Agenzia delle Entrate ha (per i motivi sopra sommariamente esposti) conseguentemente domandato la conferma degli atti impugnati.

In ordine logico, e in via preliminare, va subito escluso che gli avvisi d'accertamento siano carenti nell'esposizione della pretesa erariale, avendo al contrario assolto la loro funzione tipica (di provocatio ad opponendum), essendo in essi dettagliatamente enunciato il fatto costitutivo dei rilievi dell'Amministrazione finanziaria, e risultando in tal modo consentito al contribuente di assumere un'adeguata difesa in sede giudiziale. Secondariamente, e sempre preliminarmente, la Commissione osserva che il potere di firma in capo al soggetto che ha sottoscritto gli atti d'accertamento è nel caso di specie certamente sussistente, giacché quelli in epigrafe potevano essere emanati, a mente dell'art. 42 del D.P.R. n. 600/1973, dal “Capo dell'Ufficio”, ovvero da funzionari che siano dallo stesso validamente delegati. E siccome non è in discussione, perché non espressamente eccepito, che il Funzionario che ha sottoscritto gli avvisi impugnati rivestiva la qualifica voluta dalla legge, l'eccezione della contribuente deve essere rigettata.

Quanto invece ai suoi rilievi di merito, va ricordato che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l'art. 32 del D.P.R. n. 600/1973 consente al contribuente di vincere la relativa presunzione anche attraverso indizi semplici, e quindi mediante la prova contraria specifica e analitica. La relativa verifica compete a questo Collegio, il quale è tenuto a individuare i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell'ammontare, e nel contesto complessivo. Ebbene, il particolareggiato esame di ognuna delle movimentazioni bancarie oggetto di rilievo da parte dell'Agenzia delle Entrate consente di affermare che a fronte di ogni versamento e prelievo è stata data dal XXX idonea e completa giustificazione. I prospetti redatti dalla ricorrente per identificare dettagliatamente i soggetti beneficiari di ciascun addebito e la causale delle operazioni d'accredito in discussione è invero completa e specifica. E permette pertanto al XXX di vincere la presunzione che conforta la pretesa dell'Amministrazione finanziaria. Né può affermarsi che la produzione in questa sede contenziosa della documentazione comprovante detti fatti oggettivi debba essere considerata nuova, e quindi inammissibile, perché non depositata dalla contribuente nel corso della verifica della Guardia di Finanza. Invero, l'Agenzia resistente ha omesso di produrre in giudizio il processo verbale di constatazione, impedendo così a questo Collegio di verificare nel dettaglio se effettivamente la parte ha mancato di mettere a disposizione dei verificatori specifica documentazione. Ma a parte ciò, può certamente dirsi che nel presente giudizio la contribuente ha legittimamente versato agli atti documenti utili per dare giustificazione di ognuna delle movimentazioni contestate, offrendo all'esame della Commissione, consentendo la dovuta collazione, un documento ove sono riassunti: l'elenco dei movimenti contestati; il mastrino riferito ad ognuno degli istituti di credito con i quali ha operato il XXX; nonché di estratti del libro giornale ove è indicata, per ognuna delle operazioni in accredito e in addebito, la relativa annotazione. Così operando, la contribuente ha consentito di sottoporre a dettagliata verifica il fatto costitutivo della pretesa dell'Amministrazione erariale, e di rilevare che nella fattispecie l'assunto secondo il quale i movimenti in avere non sarebbero stati considerati nella determinazione del reddito del XXX si palesa affatto erroneo e infondato; nonché di accertare, per quelli (movimenti) individuati nella posta 'dare', che ognuno di essi indicava specificamente il relativo beneficiario. In tal modo, il ricorrente ha fornito la prova contraria alla presunzione legale di cui al richiamato art. 32 del D.P.R. n. 600/1973. E ciò ha fatto mediante una prova analitica che individua specificamente ogni operazione bancaria, e consente di dimostrare che ciascuna di esse deve dirsi oggettivamente estranea a fatti imponibili. Venendo ora a esaminare le prestazioni fatturate al XXX dalla s.r.l. XXX, va pregiudizialmente precisato che la fattura è un documento idoneo a rappresentare un costo dell'impresa, lasciando presumere - quando è regolarmente emessa - la veridicità di quanto in essa rappresentato (cosicché, la stessa costituisce titolo ai fini del diritto alla detrazione dell'IVA o alla deduzione del costo indicato). A fronte dell'esibizione della fattura, spetta dunque all'Ufficio provare il difetto delle condizioni per la detrazione o la deduzione, e, secondo i principi generali in materia, tale dimostrazione può essere fornita con presunzioni semplici (in termini, tra le molte, Cass. n. 9108/2012). Nel caso in discussione, gli elementi indiziari allegati dall'Agenzia delle Entrate non sono rilevanti e concludenti ai fini del decidere, giacché la contribuente, come le era consentito, ha superato le presunzioni che confortano il fatto costitutivo della pretesa erariale mediante allegazioni e prove documentali neppure contestate dall'Ente resistente.

Quest'ultimo, del resto, per negare il diritto alla detrazione, avrebbe dovuto provare in questa sede contenziosa che la ricorrente, alla quale sono stati forniti i servizi posti a fondamento del diritto alla detrazione, sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con il proprio 'acquisto', partecipava a un'operazione che si iscriveva in un'evasione commessa dal fornitore, non potendo in materia operare il sistema della responsabilità oggettiva e neppure l'obbligo in capo al soggetto passivo di verificare che l'emittente della fattura correlata ai servizi per i quali essa è stata emessa fosse effettivamente in grado di fornirli. Questi assunti, consacrati nelle pronunce del Supremo Collegio e della stessa Corte di Giustizia Europea, portano a ritenere che il diniego del diritto alla detrazione è un'eccezione all'applicazione del principio fondamentale che tale diritto costituisce, e che spetta conseguentemente all'Amministrazione Tributaria " ... dimostrare adeguatamente gli elementi oggettivi che consentono di concludere che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che l'operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva in un'evasione commessa dal fornitore ... " (cosi, Cass., n. 23560/2012; Cass., n. 24426/2013).

Questi essendo i principi ormai pacifici in materia di detrazione dell'IVA pagata su fatture soggettivamente inesistenti, il Collegio osserva che l'Agenzia delle Entrate non ha potuto dimostrare che la ricorrente, nel momento in cui ha i servizi dalla s.r.l. XXX, avrebbe dovuto sapere che il soggetto formalmente cedente aveva, con l'emissione delle relative fatture, inteso evadere l'imposta o partecipare a una frode, e cioè che la contribuente disponeva di indizi idonei a avvalorare un tale sospetto e a porre sull'avviso qualunque imprenditore mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente. Oltre a ciò, va comunque osservato che la ricorrente ha fornito rilevanti e conferenti elementi indiziari per contrastare la pretesa erariale. In particolare, ha documentato che la s.r.l. XXX aveva un'effettiva capacità organizzativa, ciò emergendo dal fatto che essa aveva una regolare posizione previdenziale e fiscale, e operava da tempo (almeno dall'anno 2008), in base a lavori commissionatile dallo stesso XXX, a favore di terzi soggetti cui forniva prestazioni di 'movimentazioni merci': come hanno accertato gli ispettori dell'Inps. Per le ragioni sopra esposte, i ricorsi della contribuente devono essere accolti, e la pretesa erariale giudicata illegittima. La particolarità e la complessità dell'indagine demandata a questa Commissione, correlata alla assoluta originaria legittimità dei rilievi formulati contro il XXX in base a presunzioni legali, fanno ritenere sussistenti le gravi e eccezionali ragioni volute dalla legge per disporre l'integrale compensazione tra le parti delle spese di lite.

P.Q.M .

la Commissione, accoglie i ricorsi riuniti. Compensa tra le parti le spese di lite. Così deciso in Bergamo il 16 novembre 2016

 

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