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Accolto l’appello del contribuente trasferito a Dubai. Le imposte non erano dovute in Italia neanche se non pagate negli Emirati. Agenzia delle Entrate deve rimborsare.

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Accolto l’appello del contribuente trasferito a Dubai. Le imposte non erano dovute in Italia neanche se non pagate negli Emirati. Agenzia delle Entrate deve rimborsare.

Massima: “L'art. 28 della Convenzione Italia - Emirati Arabi Uniti sulla doppia imposizione - Legge n. 309 del 25/08/1997, richiede la produzione di un certificato dal quale emerga l'effettivo pagamento delle imposte negli Emirati; relativamente all'assolvimento di tale onere, tuttavia, è sufficiente il solo fattore in sè della esistenza del potere impositivo principale dell'altro Stato ancorchè non sussista l'effettivo prelievo fiscale o il relativo esborso (Cassazione n. 27600/2011 e n. 26377/2018; Corte di Giustizia UE n. 540/2009). L'osservazione secondo cui il contribuente non risulta avere assolto l'obbligo di pagamento delle imposte nello Stato di residenza, non costituisce valido argomento per disapplicare le norme convenzionali sulla ripartizione del potere impositivo, giacchè lo Stato titolare del potere impositivo rimane il paese di residenza. E tale interpretazione non sembra contrastare con il sistema voluto dagli Stati con le convenzioni contro le doppie imposizioni, poiché la minore e/o l'eventuale assenza dell'imposta prevista nell'altro Stato contraente (ricorrendo gli altri requisiti) è applicabile per il solo fatto della soggezione della remunerazione a potestà impositiva principale dell'altro Stato, indipendentemente dall'effettivo pagamento dell'imposta”.

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Sentenza del 06/02/2020 n. 84 - Comm. Trib. Reg. per l'Abruzzo Sezione/Collegio 6

La Commissione Tributaria Provinciale di Pescara, con sentenza nr. 236/1/2019 dell' 11.2.2019 e depositata il 15 gennaio 2019, respingeva il ricorso presentato da N. avverso il provvedimento di diniego su istanza di rimborso di ritenute Irpef pari a euro 34.706,53, per il periodo di imposta relativo all'anno 2011. Il contribuente ha proposto appello sostenendo l'erronea interpretazione dei fatti di causa. In particolare, con un articolato e corposo atto di appello, nel richiamare quanto già evidenziato nel giudizio di primo grado, ha affidato i motivi di appello ai seguenti punti:

l) Violazione e falsa applicazione degli artt. 2 del DPR n. 917/1986 e dell'art. 23, comma l, lett. c) del DPR n. 917/1986 e dell'art. 43 e 44 c.c. e dell'art. 31 disp.att. c.c. - Errata, illegittima, arbitraria e viziata applicazione della Convenzione Italia-Emirati Arabi per la insussistenza della doppia imposizione tributaria e per la insussistenza dei presupposti che legittimano l'applicazione della predetta Convenzione, sussistendo solo e soltanto indebito pagamento di imposta ex art. 2033 c.c.- Totale carenza di motivazione e, comunque, motivazione distorta, sommaria, travisata, fuorviata e viziata. Violazione del diritto di difesa ex art. 24 Costituzione e dell'art. 112 c.p.c. per avere la sentenza totalmente ignorato, non vagliate e pretermesse tutte le argomentazioni difensive formulate dal ricorrente negli scritti difensivi e nella discussione orale. Nullità della sentenza impugnata per aver la Commissione Tributaria Provinciale violato, ignorato e disatteso totalmente pacifici e consolidati insegnamenti della giurisprudenza di legittimità, pur ampiamente e dettagliatamente richiamati ed illustrati;

2) llegittimità della sentenza impugnata per erronea e falsata applicazione della Convenzione Italia-Emirati Arabi in assenza del presupposto della doppia imposizione. Errata, travisata e falsata applicazione dell'art. 15, comma 2, della Convenzione Italia-Emirati Arabi. Illegittimità della sentenza impugnata per difetto di motivazione e per motivazione errata, viziata e travisata per il rigetto del proposto ricorso volto ad ottenere il rimborso per imposta versata per indebito oggettivo ex art. 2033 c.c.-

3) Violazione e falsa applicazione degli artt. 25 e 28 della Convenzione Italia Emirati Arabi e degli artt. 6 e 10 della legge n. 212/2000. Violazione dell'art. 97 della Costituzione. Ha chiesto, pertanto, la riforma dell'impugnata rassegnando le seguenti conclusioni:

In accoglimento del presente ricorso in appello, previo annullamento e/o totale riforma della sentenza impugnata, voglia accogliere il proposto ricorso di primo grado e, quindi,

1) Condannare l'Agenzia delle Entrate di Pescara- Centro Operativo- Ufficio Gestione e Controlli dei Contribuenti non residenti - a rimborsare all'appellante - ricorrente, dott. N., la complessiva somma di euro 34.706,53, per i motivi di cui in narrativa, oltre gli interessi legali dalla data della istanza di rimborso e, cioè, a decorrere dal 27/03/2014;

2) Condannare l'Agenzia delle Entrate di Pescara al pagamento delle spese ed onorari in favore del ricorrente dei due gradi di giudizio, da distrarsi in favore dell'avv. A.N., ex art. 93 cpc, per aver anticipato le prime e non riscosso i secondi.

3) Condannare l'Agenzia delle Entrate di Pescara al risarcimento del danno per responsabilità aggravata, ex art. 93 cpc, per aver resistito in giudizio con malafede ed, in ogni caso, con colpa grave e per aver violato con consapevolezza e volontà l'art 10 della legge n. 212/2000 nonché gli artt. 25 e 28 della Convenzione Italia - Emirati Arabi Uniti, da quantificarsi nella somma di euro 5.000,00 o in quella maggior o minor somma che l'adita Commissione Tributaria riterrà di giustizia. La difesa erariale si è costituita in giudizio evidenziando che controparte, a suo dire, non aveva assolto all'onere probatorio circa la fondatezza della propria pretesa;

inoltre, sugli artt. 3, comma l, lettera i) e 28 della Convenzione ha affermato che controparte non ha presentato, né con l'istanza di rimborso, né con il ricorso, né con l'appello, nonostante il sollecito dello scrivente contenuto nella nota richiamata in fatto, l'attestato obbligatoriamente richiesto dall'art. 28, comma 2 della Convenzione.

Tale norma recita espressamente che "le istanze di rimborso [ ... ] devono essere corredate da un attestato ufficiale dello Stato contraente di cui il contribuente è residente che certifichi la sussistenza delle condizioni richieste per aver diritto all'applicazione dei benefici previsti dalla Convenzione".

Inoltre ha evidenziato l'assenza di prova della doppia imposizione, circostanza non oggetto di contestazione. Ha concluso chiedendo di rigettare l'appello in quanto infondato in fatto ed in diritto, con condanna dell'appellante al pagamento delle spese di giudizio, ed ulteriore condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c.

All'udienza del 4.11.2019 la causa è stata decisa come da dispositivo.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Appare opportuna, prima di esaminare la questione di diritto sottesa, ricostruire il fatto portato al vaglio di questa commissione. L'appellante è dipendente della società A. S.p.A. (a seguito dell'acquisizione del ramo d'azienda "T."

della società A& . S.p.a.), con sede a Dubai xxx - Dubai- Emirati Arabi Uniti (v. all. n. 2 fascicolo di appello) ed a N. (TV). A decorrere dall' 1 dicembre 2010 egli veniva distaccato da A. negli Emirati Arabi Uniti presso la A.& . con sede a Dubai, per un periodo di 21 mesi, con la mansione di "Direttore delle risorse umane per il vicino medio oriente" (cfr. contratto di lavoro di distacco - All.15). Egli si trasferiva, quindi a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, sin dal dicembre 2010, con la famiglia formata dal coniuge (xxx), e da n. 3 figli (xxx), iscritti presso la Scuola J. di Dubai" (all. n. 16).

A partire dal 7 marzo 2011, come fino ad oggi, la famiglia N. si cancellava, pertanto, dall'anagrafe dei cittadini residenti in Italia e, contestualmente, si iscriveva nell'anagrafe dei cittadini italiani residenti all'estero (A.I.R.E.) (cfr. certificazione rilasciata dal Comune di T.- Ali. 7). In relazione all'attività lavorativa prestata nel 2011 a Dubai il N. percepiva da A. compensi per il complessivo importo di euro 119.132.92. di cui:

- euro 90.372,61 relativi all'attività di lavoro dipendente svolta negli Emirati Arabi Uniti, determinati ai fini Irpef ai sensi dell'art. 51, comma g bis. Tuir. - euro 27.760,28 relativi all'attività di lavoro dipendente prestata in Italia (cfr. CUD 2012 all. n. 12 e dichiarazione compensi all. n. 11 ). Sul reddito corrisposto all'istante l'A. operava le seguenti ritenute fiscali:

- Irpef per l'importo di euro 43.900,07 di cui:

euro 33.594,35 sui compensi relativi al lavoro prestato negli emirati Arabi Uniti;

euro 10.305,12 sui compensi relativi al lavoro prestato sul territorio nazionale;

- Addizionale regionale all'Irpef l'importo di euro 1.453,04 di cui euro 1.111,58 sui compensi relativi al lavoro prestato sul territorio nazionale (cfr. certificazione rilasciata da A. - all. n. 1). Il 26 settembre 2012 il N. presentava il Mod. Unico 2012 nel quale dichiarava il reddito:

- di lavoro dipendente di euro 118.133,00;

- dei fabbricati di euro 1.144,00:

così per un reddito complessivo di euro 119.277,00 (All.12.) Sui redditi prodotti negli Emirati Arabi Uniti provvedeva a pagare le imposte italiane per attività lavorativa espletata negli stessi Emirati Arabi ed avendo, al contempo, la residenza fiscale a Dubai nel 2011, pari a complessivi euro 34.706,53 (euro 33.594,95 a titolo Irpef + euro l.111,58 a titolo di Addizionale regionale all'Irpef), sicchè, con l 'istanza prodotta il 27/03/2014 ne chiedeva il rimborso, precisando che il pagamento tributario era dovuto a "mero errore", allegando documentazione concernente la propria residenza fiscale negli Emirati Arabi-Dubai- per gli anni 2011/2013 e l'attività lavorativa prestata nella stessa Dubai.

L'Agenzia delle Entrate di Pescara con comunicazione ai sensi dell'art.32 del D.P.R 29/09/1973 n.600, datata 20/02/2018, prot. 45938 (All.n. 4), quantificava l'importo oggetto della richiesta di rimborso in euro 34.706,53, e richiedeva, ai fini del riconoscimento delle condizioni soggettive ed oggettive necessarie per l'erogazione dello stesso rimborso, la trasmissione dell'attestato rilasciato dall'autorità fiscale degli Emirati Arabi da cui risulti che per l'anno 2011 il richiedente era residente negli Emirati Arabi Uniti ai sensi dell'art.28 della Convenzione Italia-Emirati Arabi per evitare le doppie imposizioni".

Inoltre la stessa Agenzia comunicava che "il rimborso eventualmente spettante non sarebbe stato comunque eseguibile fintanto che sussistono nei confronti dell'Istante il carico relativo al ruolo così identificato: Anno d'imposta 2009 xxx 36 bis Ufficio Treviso importo euro a 1.030,29", carichi a ruolo, null'altro richiedendo al fine del riconoscimento della spettanza del rimborso di euro 34.706,53 presentata in data 27/03/2014. L'istante rispondeva alla richiesta sostenendo che per quanto riguarda l'Attestazione di residenza richiesto, a suo parere, erano già sufficienti tutti i documenti a suo tempo prodotti a conforto dell'Istanza di Rimborso e che, comunque, al fine di confortare ulteriormente il richiesto requisito della residenza fiscale trasmetteva ulteriori documenti:

-1) Visto ed attestato di residenza a Dubai e di Lavoro dal 19/01/2011 all 18/01/2013, quale manager Human Resorce & Admin dell'A. -A., rilasciato dal 'United Arab Emirates;

-2) Permesso di lavoro rilasciato da United Arab Emirates- Ministero del Lavoro a Dubai;

-3) Attestazione rilasciata da United Arab Emirates - Ministero degli Interni di Dubai - che "The person left the State on" 01/03/2013 (traduzione: la persona ha lasciato lo stato il 01/03/2013) e quindi residenza a Dubai fino al 01/03/2013;

- 4) Visto di permanenza a Dubai sino al 18/01/2013;

-5) Certificato iscrizione AIRE dell'11/03/2011 del Comune di T. dell'1/05/2011 del N. unitamente al proprio nucleo familiare. Con riguardo alla nota dell'Agenzia del 20/02/2018 (relativa al carico fiscale pendente presso l'agenzia delle Entrate di T.) trasmetteva nota dell'Agenzia delle Entrate di T. del 17/06/2015 di totale annullamento in via di autotutela di tutte le presunte pendenze tributarie relative all'anno 2009. Ora non è dato comprendere dalla motivazione della sentenza impugnata se la circostanza concernente l'effettiva residenza a Dubai sia stata valorizzata dal giudice di prime cure, sulla base della documentazione prodotta, sin dal giudizio di primo grado (e, prima ancora, in sede amministrativa), dall'appellante.

A dire il vero, proprio sulla base dei documenti prodotti emerge chiaramente che, nel periodo in esame (rilevante ai fini dell'imposta), il N. era residente negli Emirati Arabi, per giunta con il proprio nucleo familiare. In base all'art. 2, co. 2°, T.U.I.R., "ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo di imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile". Su tale presupposto può senza dubbio affermarsi che il contribuente, mediante la documentazione offerta in produzione, ha superato- com' era peraltro suo onere- la presunzione di residenza in Italia, ex art. 2 cit., fornendo la prova che il centro principale dei suoi affari ed interessi - nel periodo oggetto di valutazione-, compresi quelli familiari, si collocasse effettivamente negli Emirati Arabi e non in Italia, secondo la nozione di domicilio o residenza desumibile dall'articolo 43 cod.civ.

La Commissione Tributaria provinciale si è limitata ad affermare che il ricorrente . . . . . . non ha tuttavia dimostrato di essere stato assoggettato a tassazione anche negli Emirati, perché non ha prodotto il necessario certificato convenzionale di cui all'art. 28 della convenzione Italia - Emirati Arabi Uniti. Tale omissione non consente di ritenere fondato il ricorso, poiché il ricorrente non ha dimostrato la doppia imposizione, nell'ulteriore rilievo che ai sensi dell'art. 15, c. 2, della suddetta convenzione, la imposizione, come è effettivamente avvenuto, doveva essere effettuata in Italia, perché il datore di lavoro e' una società italiana la A. S.p.a. con sede a N. (TV). (cfr. sentenza pg. 3). Secondo il collegio di prime cure, dunque, la remunerazione che il ricorrente ha percepito negli Emirati Arabi Uniti deve essere oggetto di tassazione in Italia in quanto, ai sensi dell'art. 15 co. 2 della Convenzione Italia - Emirati Arabi Uniti, il datore di lavoro è una società italiana e perché il contribuente non aveva prodotto l'attestato concernente l'avvenuta tassazione della remunerazione da parte degli Emirati Arabi. La tesi, ad avviso di questa commissione, non appare condivisibile. La lettura delle norme della convenzione Italia- Emirati Arabi Uniti, ( ..... i salari, gli stipendi e le altre remunerazioni analoghe che un residente di uno Stato contraente riceve in corrispettivo di un'attività dipendente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che tale attività non venga svolta nell'altro Stato contraente. Se l'attività è quivi svolta, le remunerazioni percepite a tal titolo sono imponibili in questo altro Stato ..... ) consente di affermare che le remunerazioni pagate ad uno stato contraente, in corrispettivo di servizi resi a detto Stato, sono imponibili soltanto in questo Stato, ciò in ossequio al principio dell'attribuzione del potere impositivo esclusivo nello Stato in cui le prestazioni sono rese.

La convenzione identifica in modo preciso ed in relazione ad una fattispecie ben definita a quale Stato contraente spetti la potestà impositiva esclusiva, tenendo presente che l'Italia con questa disposizione convenzionale ha rinunciato, ab origine, ad esercitare la propria pretesa impositiva sui redditi in questione.

Va osservato che nella fattispecie oggetto del presente giudizio non è in discussione né la residenza all'estero del contribuente, né lo svolgimento della propria attività lavorativa a Dubai, con la conseguente deduzione che il N. non ha prestato (e prodotto redditi da) attività lavorativa in Italia, sicchè il suo reddito era tassabile soltanto presso gli EAU.

Ma vi è un profilo ulteriore da esaminare concernente la presunta violazione dell'art. 28 della convenzione richiamata, con riguardo all'assolvimento dell'onere probatorio circa l'effettivo pagamento delle imposte negli Emirati (ragione per la quale l'amministrazione finanziaria non avrebbe provveduto al rimborso, non essendo il contribuente stato sottoposto a concreta tassazione nell'altro Stato).

Anche il richiamo a tale norma appare, nella specie, fuorviante per le ragioni in appresso indicate.

L'osservazione secondo cui il contribuente non risulta avere assolto l'obbligo di pagamento delle imposte nello Stato di residenza, non costituisce valido argomento per disapplicare le norme convenzionali sulla ripartizione del potere impositivo, giacchè lo Stato titolare del potere impositivo sulla fattispecie in oggetto rimangono gli EAU, quale paese di residenza dell'appellante.

E tale interpretazione non sembra contrastare con il sistema voluto dagli Stati con le convenzioni contro le doppie imposizioni, poiché la minore e/o l'eventuale assenza dell'imposta prevista nell'altro Stato contraente (ricorrendone i requisiti fattuali sopra richiamati), è applicabile per il solo fatto della soggezione della remunerazione a potestà impositiva principale dell'altro Stato, indipendentemente dall'effettivo pagamento dell'imposta.

Si è precisato che la sufficienza del solo fattore in sè della esistenza del potere impositivo principale dell'altro Stato, deve ritenersi coerente con le finalità delle convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni, le quali hanno la funzione di eliminare la sovrapposizione dei sistemi fiscali nazionali, onde evitare che i contribuenti subiscano un maggior carico fiscale sui redditi percepiti all'estero ed agevolare l'attività economica e d'investimento internazionale (Cass. 27600/2011).

Tale orientamento consolidato, è stato confermato in altre pronunce successive (Cass., 10 ottobre 2018, n. 26377), basate anche sulla sentenza della Corte di Giustizia UE 19 novembre 2009, n. 540, -sia pure nella diversa materia dei dividendi- con cui si è affermato, ad esempio, che la Convenzione Italia-Svizzera, art. 10, va interpretato nel senso che la minore imposta ivi prevista è applicabile per il solo fatto della soggezione del dividendo alla potestà impositiva principale dell'altro Stato, indipendentemente dall'effettivo pagamento dell'imposta.

La sufficienza del solo fattore in sè dell'esistenza del potere impositivo principale dell'altro Stato, deve ritenersi infatti coerente con le finalità delle convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni, le quali hanno la funzione di eliminare la sovrapposizione dei sistemi fiscali nazionali, onde evitare che i contribuenti subiscano un maggior carico fiscale sui redditi percepiti all'estero ed agevolare l'attività economica e di investimento internazionale (Cass., 10 novembre 2017, n. 26656). Si aggiunge in motivazione (Cass., 26377/2018 cit.) che "non è dunque corretto subordinare il rimborso della ritenuta alla circostanza che la società percipiente estera abbia effettivamente sborsato, nel paese UE di residenza, l'imposta sul dividendo proveniente dall'Italia;

risultando per contro (necessario e) sufficiente che tale dividendo concorra alla formazione del reddito complessivo, ancorchè non sussista effettivo prelievo fiscale". Per la Corte di Giustizia UE (Corte Giustizia 19-11-2009, n. 540 cit.) "la scelta di tassare nell'altro Stato membro i redditi provenienti dall'Italia o il livello a cui sono tassati non dipende dalla Repubblica italiana, ma dalle modalità di imposizione definite dall'altro Stato membro.

La Repubblica italiana non ha, di conseguenza, alcun fondamento nel sostenere che l'imputazione dell'imposta ritenuta alla fonte in Italia sull'imposta dovuta nell'altro Stato membro, in applicazione delle previsioni delle convenzioni contro la doppia imposizione, consenta in ogni caso di compensare la differenza di trattamento derivante dall'applicazione della normativa nazionale ".

Alla luce di tali argomentazioni, con riguardo al diritto del contribuente di ottenere la restituzione delle somme indebitamente versate, l'appello è fondato:

Le somme, peraltro, chieste a rimborso, non sono oggetto di contestazione nel quantum e sulle quali andranno corrisposti gli interessi legali.

La particolarità delle questioni esaminate ed il contrasto esistente anche all'interno di questa CTR portano ad escludere la sussistenza dei presupposti di cui all'art. 93 c.p.c. Ogni ulteriore profilo resta assorbito.

Le spese liquidate in dispositivo seguono il criterio della soccombenza e vanno distratte in favore del difensore che si è dichiarato antistatario.

P.Q.M.

La Commissione Tributaria Regionale di L'Aquila, Sezione distaccata di Pescara, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa e rigettata, così provvede:

accoglie l'appello e condanna l'appellata al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio, liquidate in euro 5.000,00 per ciascun grado, oltre accessori di legge.

Così deciso in Pescara, nella camera di consiglio del 4.11.2019.

§§§

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