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Agenzie di assicurazioni: quando l’accertamento induttivo del reddito accerta irregolarità non esistenti

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Agenzie di assicurazioni: quando l’accertamento induttivo del reddito accerta irregolarità non esistenti

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Anche se ormai le assicurazioni online hanno preso il posto delle vecchie agenzie assicurative di quartiere, queste ultime continuano a costituire un punto di riferimento importante per automobilisti, professionisti o utenti interessati a stipulare una polizza assicurativa.

L’agente di assicurazione è quindi quel professionista impegnato nella vendita di diversi servizi assicurativi ed opera su mandato di una o più imprese di assicurazione.

Si tratta di un’attività che richiede, oltre ad una grande competenza, anche un lungo percorso di formazione. Infatti, per esercitare la professione di agente assicurativo bisogna necessariamente iscriversi nel Registro Unico degli Intermediari Assicurativi, c.d. Rui. È inoltre indispensabile superare un apposito esame organizzato dall’Isvap, ora Ivass, e seguire obbligatoriamente dei corsi di aggiornamento annuali al fine di mantenere l’abilitazione ad esercitare l’attività di intermediazione.

Le agenzie assicurative che fanno capo ad un agente o subagente sono generalmente strutture autonome create da piccoli imprenditori con l’ausilio di pochi collaboratori, locali, attrezzature e con l'osservanza di una propria contabilità. Esistono, però, anche strutture più complesse, formate da diversi comparti ed uffici e con l’impiego di numerosi collaboratori.

Insomma, dal punto di vista economico, un’agenzia di assicurazioni è un’attività di impresa che deve sostenere numerosi costi e gestire molti adempimenti.

La fonte di guadagno è rappresentata dalle provvigioni procurate grazie alla collocazione dei contratti. Più polizze assicurative vengono stipulate, maggiori saranno le provvigioni incassate.

Tuttavia, la gestione quotidiana di un’agenzia di assicurazioni è molto complessa, richiedendo lo svolgimento di numerosi obblighi ed adempimenti.

In particolare, la gestione contabile di questa impresa riguarda la registrazione di varie operazioni quali estratti conto collaboratori, anticipi ai clienti, pagamenti, premi incassati e provvigioni, ecc. 

Controlli da Isvap e Agenzia delle Entrate

Al di là dei frequenti controlli svolti dall’Ivass, l’autorità amministrativa che vigila sul mercato assicurativo, le agenzie di assicurazioni sono spesso oggetto di accertamenti e verifiche da parte dell’Agenzia delle Entrate. Generalmente le anomalie nella gestione amministrativa/contabile dell’agenzia vengono rilevate tramite segnalazioni provenienti dall’impresa madre, dall’Ivass oppure da segnalazioni o lamentele provenienti direttamente dai clienti.

Uno dei problemi più importanti riferibili alla contabilità delle agenzie assicurative riguarda la corretta imputazione dei costi e dei ricavi. Sotto questo profilo emergono anche delle incertezze normative. È difficile, infatti, individuare esattamente il momento in cui l’agente deve sottoporre a tassazione le provvigioni maturate.

La conclusione a cui si è arrivati è quella secondo cui l’agente assicurativo matura la provvigione nel momento in cui il contratto assicurativo viene concluso.

Stando a questa impostazione, dal punto di vista fiscale, sono irrilevanti tutti gli altri fatti che seguono all’esecuzione del contratto, compreso il pagamento del premio da parte del cliente che ha stipulato la polizza assicurativa.

Tuttavia, anche se si tratta di una soluzione condivisa, non sempre l’Agenzia delle Entrate si allinea pacificamente a questo principio, continuando così ad essere incerto il momento in cui l’agente assicurativo matura il diritto alla sua provvigione.

In alcuni casi le verifiche fiscali, svolte dai finanzieri o dall’Agenzia, sono mirate al controllo del corretto assolvimento degli obblighi relativi alle disposizioni tributarie. L’obiettivo è quello di ricostruire il volume d’affari generato dall’agenzia assicurativa e sospettato di essere sottratto all’imposizione fiscale.

Sotto questo profilo le irregolarità più contestate riguardano il mancato adempimento degli obblighi formali relativi alla regolare tenuta della contabilità. Fra questi emergono l’omessa istituzione dei registri ai fini Iva o la mancata conservazione delle fatture. L’accusa è spesso quella di aver occultato ricavi e quindi di non aver versato al fisco le imposte dirette dovute. Tuttavia, la correlazione tra presunzioni e dimostrazioni non è sempre facile, specie nel caso delle agenzie di assicurazioni.

Quello che capita nel corso di tali verifiche e controlli è, non di rado, l'omesso esame da parte degli agenti accertatori di tutta la documentazione. Si pensi, ad esempio, al caso dell’omessa valutazione dei costi effettivamente sostenuti dall’agente assicurativo per provvigioni passive mirate ad incrementare il portafoglio clienti. Insomma, si tratta di accertamenti complessi che richiedono di scavare a fondo nella tenuta della contabilità delle agenzie di assicurazioni, prima di contestarne l’eventuale irregolarità.

Non di rado, inoltre, accertamento fiscale e contestazione penale di eventuali reati tributari va di pari passo.

Una delle contestazioni più frequenti riguarda, infatti, l’appropriazione indebita dei premi per le polizze pagate dai clienti, senza provvedere a versarli alle compagnie di assicurazione. L’accusa, insomma, è quella di creare una vera e propria truffa finalizzata ad incassare somme senza dichiararle al fisco. In questi casi, parallelamente al processo penale viene anche avviato il procedimento amministrativo per garantire il pagamento dei tributi dovuti e delle sanzioni connesse alle violazioni tributarie.

Anche in questo caso, l’esame della giurisprudenza dimostra che l’operato degli accertatori ed inquirenti non è però sempre esente da errori.

Vediamo di seguito i casi in cui l’agente di assicurazioni ha avuto ragione in esito al contenzioso tributario.

Corte di Cassazione, V Sez. Civile, sentenza n. 16600 del 07/08/2015

Questa vicenda ha riguardato il caso di un agente di assicurazioni destinatario di un avviso di accertamento relativo a maggiore Irpef dovuta per un determinato anno di imposta e quantificata alla luce dell’applicazione dei parametri presuntivi di reddito, i cd. Studi di settore.

L'Agenzia delle Entrate ha ribadito la legittimità dell'avviso di accertamento che sarebbe stato emesso dopo regolare contraddittorio con il contribuente e valutando tutta la documentazione prodotta da quest’ultimo.

L’agente, al contrario, ha ritenuto che l’Agenzia non avesse garantito un adeguato contraddittorio, applicando in maniera arbitraria lo strumento dei parametri. In particolare, il contribuente contestava l’omesso esame di tutta una serie di circostanze che davano prova di minori ricavi conseguiti, quali, per esempio la cessazione di fatto della professione di agente assicurativo nell’anno contestato, l’esercizio dell’attività limitato alle sole polizze assicurative, l'entità delle provvigioni conseguite quale subagente monomandatario senza esclusiva, l'impossibilità di registrare incassi senza fatturazione. Tali prove erano invece sufficienti a superare la presunzione di maggiori redditi in base ai parametri presuntivi adottati dall’Agenzia delle Entrate.

I giudici di Cassazione hanno ritenuto che il contribuente avesse provato tutte le circostanze che portavano ad escludere l’applicazione degli studi di settore alla sua agenzia di assicurazioni. L’accertamento quindi non aveva tenuto conto della specifica realtà dell'attività economica nel periodo di tempo in esame.

Infine, i giudici hanno ritenuto che la motivazione dell'avviso di accertamento non possa limitarsi a rilevare lo scostamento, ma debba essere integrata con ulteriori elementi che giustifichino l’applicazione in concreto dello studio di settore. Cosa che, in questo specifico caso, non si è avverata.

Comm. Trib. Reg. dell’Emilia Romagna, sentenza n. 41/04/12

Questo caso ha riguardato un agente assicurativo che aveva concluso la sua attività aderendo al c.d. concordato preventivo. Grazie a questo istituto il contribuente si impegna a garantire il raggiungimento di un certo reddito, godendo di aliquote agevolate e di una serie di esenzioni da adempimenti fiscali.

È stato proprio durante questo periodo che l’agente ha ricevuto l’avviso di accertamento.

In particolare, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che le provvigioni maturante durante la fase del concordato preventivo andavano tassate ad aliquota normale e non, invece, ad aliquota agevolata.

Il contribuente, al contrario, riteneva che tali redditi fossero maturati proprio durante il periodo di concordato e quindi, dovevano essere soggetti ad aliquota agevolata. Egli, quindi, con ricorso davanti alle commissioni tributarie ha richiesto all'Erario la quota parte versata in esubero.

In questo caso specifico la questione era stabilire se l'indennità di cessazione mandato di agenzia potesse qualificarsi o meno reddito di impresa.

La Ctr ha dato risposta affermativa a questa domanda. A parere dei giudici di secondo grado, infatti, l’indennità di cessazione attività è classificata tra i redditi di impresa. Per tali ragioni l’agente può godere dell’aliquota agevolata prevista durante la fase di concordato preventivo. La CTR ha così riconosciuto il diritto al rimborso da parte del contribuente.

Comm. Trib. Prov. Milano, sentenza n. 2803 del 24/03/2016 

Infine, questa terza ed ultima vicenda ha riguardato il caso di un agente assicurativo che aveva costituito una società di capitali, in particolare una responsabilità limitata, per la gestione dell'agenzia.

L’Agenzia delle Entrate aveva ritenuto che le fatture emesse dalla Srl di cui l'agente assicurativo era titolare, fossero generiche e non inerenti. Per tali ragioni l’Ufficio aveva proceduto a un accertamento induttivo del reddito dichiarato dall’agente assicurativo, disconoscendo interamente i costi relativi a tali fatture generiche.

La CTP milanese, al contrario, ha accolto il ricorso presentato dal contribuente ritenendo che l’inerenza dei costi sussiste in tutti i casi in cui vi sia una correlazione tra la spesa e l'attività potenzialmente idonea a produrre utili. In questo caso, in sostanza, i giudici hanno ritenuto sussistere tale correlazione, ammettendo così l’inerenza dei costi.

 

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