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Cassazione: il chiamato all'eredità non risponde dei debiti tributari. Accolto il ricorso per cassazione dei contribuenti con condanna dell'Agenzia delle Entrate a pagare spese per 15.000 euro Featured

Scritto da Avv. Federico Pau
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Massima: “Il chiamato all'eredità non risponde dei debiti tributari del de cuius, anche se l'atto impositivo sia notificato dopo l'apertura della successione e sia divenuto definitivo prima della rinuncia alla successione, validamente esercitata dagli eredi”.

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Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 5

Ordinanza del 30/05/2018 n. 13639

Testo: 
Rilevato che:

1. A. S., V. e T. E. propongono due motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 59/34/2012 del 27 febbraio 2012, con la quale la commissione tributaria regionale della Campania, a conferma della prima decisione, ha ritenuto legittima la cartella di pagamento loro notificata il 6 novembre 2009 - per Iva 2003/2004/2005 - nella qualità di eredi (rispettivamente, moglie e figli) di A.E.. La commissione tributaria regionale, in particolare, ha ritenuto che: - ancorché rinuncianti all'eredità con dichiarazione notarile del 15 giugno 2009, trascritta il 2 luglio 2009, gli opponenti dovevano rispondere in solido del debito tributario del de cujus, perché portato da avvisi di accertamento notificati (30 dicembre 2008 e 28 gennaio 2009) successivamente al decesso dell'E. (3 dicembre 2008), e da essi non opposti; - la definitività degli accertamenti precludeva di per sé agli opponenti di far valere l'asserita efficacia retroattiva della rinuncia all'eredità, circostanza insuscettibile di essere dedotta per la prima volta con l'impugnazione della cartella. Resiste con controricorso l'agenzia delle entrate.

2.1 Con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione degli articoli 112 cod. proc. civ. e 36 d.lgs. 546/92. Per avere la commissione tributaria regionale omesso di pronunciare sulla loro eccezione di carenza di legittimazione tributaria passiva in forza dell'efficacia retroattiva, ex art. 521 cod. civ., della rinuncia all'eredità. Rinuncia prima della quale essi dovevano essere considerati quali semplici 'chiamati', e non quali eredi del defunto. Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell'articolo 2697 cod. civ. Per avere la commissione tributaria regionale assunto, quale presupposto di partenza, il possesso dei beni ereditari da parte dei chiamati; circostanza fattuale, quest'ultima, non provata dall'ufficio con riguardo agli specifici beni mobili ed immobili del de cujus (peraltro già attratti al regime di separazione patrimoniale tra i coniugi).

2.2 I due motivi di ricorso - suscettibili di trattazione unitaria per la stretta connessione delle questioni giuridiche dedotte - sono fondati.

La commissione tributaria regionale non ha considerato che - come effettivamente dedotto in giudizio dagli opponenti - gli avvisi di accertamento in questione erano stati notificati, pochi giorni dopo il decesso del de cujus, allorquando essi si trovavano nella qualità, non già di eredi, bensì di chiamati all'eredità. Questa circostanza impediva agli avvisi di accertamento in questione di assumere definitività ed efficacia preclusiva sul punto specifico della riferibilità soggettiva dei debiti tributari del de cujus agli intimati e, per ciò solo, della loro legittimazione passiva in veste di successori a titolo universale. Riferibilità soggettiva e legittimazione passiva che, appunto, non potevano discendere che dal conseguimento - nella specie non verificatosi - della qualità di erede. Legittimamente, pertanto, gli intimati hanno successivamente impugnato la cartella loro notificata sulla base di quegli avvisi di accertamento, per far valere l'insussistenza della propria responsabilità tributaria per i debiti del de cujus; in quanto rinuncianti all'eredità da questi dismessa (circostanza, quest'ultima, accertata de plano dal giudice di merito con riguardo sia alla dichiarazione notarile, sia alla sua debita trascrizione ed opponibilità). Va in proposito osservato che, in base all'articolo 521 del cod. civ., "chi rinunzia all'eredità è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato"; con la conseguenza che, per effetto della rinuncia, viene impedita retroattivamente - cioè a far data dall'apertura della successione - l'assunzione di responsabilità per i debiti facenti parte del compendio ereditario; il che equivale ad affermare che condizione imprescindibile affinchè possa sostenersi l'obbligazione del chiamato a rispondere di tali debiti è che questi abbia accettato l'eredità. Non vale obiettare, come sostenuto dalla commissione tributaria regionale, che gli opponenti si sarebbero limitati a rimarcare l'efficacia retroattiva della rinuncia, senza farsi carico della intervenuta definitività degli avvisi di accertamento, in quanto non impugnati. Va infatti considerato che proprio nella deduzione in giudizio da parte degli intimati della rinuncia all'eredità, e della sua efficacia retroattiva, era insito il fondamentale e dirimente motivo di opposizione alla cartella. In quanto basata su avvisi di accertamento notificati allorquando essi assumevano veste di chiamati all'eredità, e non di eredi. E la cui definitività, conseguentemente, non poteva intaccare (e ciò non per ragioni fattuali necessitanti di specifica deduzione, ma nella applicazione del regime giuridico del caso, ex art. 521 cit.) la loro personale estraneità alla responsabilità tributaria facente capo al de cujus; né, pertanto, produrre un titolo esecutivo ad essi opponibile. Una diversa conclusione non potrebbe desumersi dalla regola di determinazione dell'imposta evincibile dall'ultimo comma dell'articolo 7 d.lgs. 346/90; posto che tale norma, comportante un'eccezione ai principi generali in tema di obbligazione, è applicabile non ai tributi posti a carico del de cujus, ma unicamente all'imposta di successione (Cass. 21101/10). Va dunque affermato che - atteso che la responsabilità per il debito tributario del de cujus presuppone l'assunzione della qualità di erede e, inoltre, che la rinuncia all'eredità produce effetto retroattivo ex articolo 521 cod. proc. civ. - il chiamato rinunciante non risponde di tale debito, ancorché quest'ultimo sia portato da un avviso di accertamento notificato dopo l'apertura della successione e divenuto definitivo per mancata impugnazione. In tale evenienza, legittimamente il rinunciante può far valere, in sede di opposizione alla cartella di pagamento, la propria mancata assunzione di responsabilità per il debito suddetto.

2.3 Altro è a dire, con l'amministrazione finanziaria, che la rinuncia così operata sarebbe stata, in realtà, priva di effetto; per essere i chiamati decaduti dal relativo diritto, in quanto già accettanti in dipendenza del possesso dei beni ereditari ex articolo 485 cod. civ.. Questo aspetto di causa non ha tuttavia trovato ingresso nella sentenza impugnata, la cui ratio decidendi non poggia sulla inefficacia dell'atto di rinuncia, bensì - come detto - sulla definitività degli avvisi di accertamento. E che la circostanza fosse effettivamente inidonea a diversamente fondare la medesima decisione di rigetto del ricorso introduttivo dipende dal fatto che era onere della stessa amministrazione finanziaria, attrice in senso sostanziale ex art. 2697 cod. civ., provare l'avvenuta accettazione dell'eredità, e la conseguente inoperatività della rinuncia; dimostrando, in primis, l'effettivo possesso dei beni ereditari da parte degli intimati.

Va richiamato, anche in materia tributaria, il principio in base al quale (Cass. 2820/05, con plurimi richiami): "la delazione che segue l'apertura della successione, pur rappresentandone un presupposto, non è di per sé sola sufficiente all'acquisto della qualità di erede, perché a tale effetto è necessaria anche, da parte del chiamato, l'accettazione mediante 'aditio' oppure per effetto di 'pro herede gestio' oppure per la ricorrenza delle condizioni dizioni di cui all'art. 485 c.c. (...). In considerazione di ciò, spetta a colui che agisca in giudizio nei confronti del preteso erede per debiti del de cuius, l'onere di provare, in applicazione del principio generale contenuto nell'art. 2697 c.c., 'l'assunzione da parte del convenuto della qualità di erede, qualità che non può desumersi dalla mera chiamata all'eredità, non essendo prevista alcuna presunzione in tal senso, ma consegue solo all'accettazione dell'eredità, espressa o tacita, la cui ricorrenza rappresenta un elemento costitutivo del diritto azionato nei confronti del soggetto evocato in giudizio nella sua qualità di erede". In termini, si è più recentemente pronunciata Cass. 8053/17, la quale ha osservato, da un lato, che anche in materia tributaria l'assunzione delle obbligazioni del de cujus richiede l'accettazione dell'eredità; e, d'altro lato, che, a fronte dell'esercizio del diritto di rinuncia, è onere della parte pubblica provare l'insussistenza dei relativi presupposti e la decadenza dal medesimo. Ora, nel caso di specie, risulta che il possesso dei beni ereditari fosse stato soltanto allegato dall'amministrazione finanziaria (per gli effetti di cui all'articolo 485 cod. civ.), ma non provato; e ciò, nonostante che gli intimati l'avessero contestato. Anche in ragione della proprietà esclusiva della casa di abitazione in capo alla moglie A.S., coniugata in regime di separazione dei beni. Va d'altra parte considerato che il possesso, da parte del coniuge, della casa adibita a residenza familiare - quand'anche di proprietà del de cujus - non comporta ope legis l'acquisizione della qualità di erede, "posto che il coniuge, con l'apertura della successione, diviene titolare del diritto reale di abitazione della casa adibita a residenza familiare, ai sensi del combinato disposto degli artt. 540 e 1022 cod. civ., e quindi non a titolo successorio derivativo bensì a diverso titolo costitutivo, fondato sulla qualità di coniuge, che prescinde dai diritti successori" (Cass. 1920/08). Né può dirsi che l'amministrazione finanziaria fosse priva di strumenti volti a fronteggiare l'incertezza, nella realizzazione della pretesa impositiva, derivante dal protratto stato di delazione ereditaria; spettando ad essa, in quanto creditrice, la potestà di far fissare un termine per l'accettazione, ovvero di far nominare un curatore dell'eredità giacente. Così come spettava ad essa, una volta intervenuta la rinuncia, il diritto di eventualmente impugnarla in presenza dei presupposti ex art. 524 cod. civ. Ne segue la cassazione della sentenza impugnata. Poiché non sono necessari ulteriori accertamenti in fatto, né sono state dedotte altre questioni controverse, sussistono i presupposti per la decisione nel merito ex art. 384 cod. proc. civ., mediante accoglimento del ricorso introduttivo della parte intimata. Le spese del presente giudizio di legittimità vengono poste a carico dell'amministrazione finanziaria resistente; con compensazione delle spese del giudizio di merito, attesa la controvertibilità della fattispecie in rapporto alla formale definitività degli avvisi.

Pqm

accoglie il ricorso;

cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito ex art. 384 cod. proc. civ., accoglie il ricorso introduttivo della parte intimata;

pone le spese del presente giudizio di legittimità a carico dell'agenzia delle entrate, liquidate in euro 15.000,00 oltre rimborso forfettario ed accessori di legge;

compensa le spese del giudizio di merito.

Così deciso nella camera di consiglio della quinta sezione civile in data 17 aprile 2018.

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