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Corte di Cassazione, Sez. 5
Sentenza n. 30143 del 20 novembre 2019
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 44/18/12, depositata il 22 marzo 2012, non notificata, la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia - Sez. distaccata di Catania - rigettava l'appello proposto dall'Agenzia delle Entrate avverso la sentenza n. 431/03/08 della Commissione Tributaria Provinciale di Catania, con condanna dell'Ufficio al pagamento delle spese di lite. Il giudizio aveva ad oggetto l'impugnazione da parte della V. S.r.l. di un avviso di rettifica e liquidazione con il quale l'Agenzia delle Entrate, aveva applicato, ad una compravendita relativa ad un terreno sito nel Comune di B., stipulata in data 14-3-2006, la cui efficacia era stata sottoposta alla condizione sospensiva che entro la data del 31 dicembre 2008 venisse concluso con un terzo conduttore, non identificato, un contratto di locazione in relazione agli immobili da costruire su quel fondo, l'imposta di registro in misura proporzionale, in luogo di quella fissa già corrisposta, sul presupposto che la condizione avesse natura meramente potestativa. La Commissione di primo grado aveva accolto il ricorso della società acquirente ritenendo che, ai fini dell'avverarsi della condizione, rilevasse la volontà di un terzo potenziale locatario, soggetto non influenzabile da parte della contribuente. La CTR aveva confermato la decisione di primo grado, ritenuta ineccepibile, rilevando che l'Agenzia non aveva messo in dubbio i richiami contenuti nel contratto al possibile conduttore dell'insediamento.
2. Avverso la sentenza di appello, l'Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, consegnato per la notifica il 7 maggio 2013, affidato a quattro motivi; la società contribuente ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso l'Agenzia censura la sentenza impugnata, deducendo, ex art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., violazione degli artt. 132, comma 2, n. 4, e 118 disp. att. c.p.c., e dell'art. 36, comma 2, n. 4 del d.lgs. n. 546 del 1992, per l'assoluta carenza di motivazione;
2. con il secondo motivo lamenta, ex art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., un difetto di motivazione su fatto decisivo per il giudizio, per aver omesso di valutare gli effetti voluti dalle parti;
3. con il terzo motivo denuncia, ex art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell'art. 27, commi 1 e 3, del d.P.R. n. 131 del 1986 e dell'art. 1362 c.c. nonché un difetto di motivazione sul fatto decisivo degli effetti della condizione sospensiva invocata dalle parti, per non aver valutato che, prevedendo il contratto la restituzione del bene al mancato avveramento, la condizione avesse in realtà natura risolutiva;
4. in subordine, con il quarto motivo, in relazione agli stessi profili di cui al terzo motivo, censura la sentenza impugnata per non aver ritenuto la condizione sospensiva rimessa alla volontà dell'acquirente.
5. Il primo e secondo motivo, da trattarsi congiuntamente per connessione, risultano infondati.
5.1 La CTR, seppure succintamente, non solo ha affermato di condividere la valutazione della decisione di primo grado, ritenuta ineccepibile in quanto desunta dall'analisi del contratto, ma ha altresì rilevato, a conferma della natura non meramente potestativa della condizione sospensiva apposta, che l'Agenzia delle Entrate non aveva contestato i richiami contenuti nel contratto alla posizione di un terzo potenziale conduttore dell'insediamento immobiliare. Non sussiste pertanto la violazione del "minimo costituzionale" richiesto dall'art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi - che si convertono in violazione dell'art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza - di "mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale", di "motivazione apparente", di "manifesta ed irriducibile contraddittorietà" e di "motivazione perplessa od incomprensibile", né l'omesso esame di un "fatto storico", che abbia formato oggetto di discussione e che appaia "decisivo" ai fini di una diversa soluzione della controversia.
6. Il terzo motivo è inammissibile per una pluralità di ragioni. 6.1. A giudizio della ricorrente, la natura risolutiva, e non sospensiva, della condizione apposta dalle parti sarebbe desumibile dal contenuto della clausola di restituzione del bene inserita nel contratto; tale circostanza, tuttavia, non è stata affrontata dalla sentenza impugnata, né nel ricorso se ne deduce l'avvenuta allegazione nei due precedenti gradi di giudizio, avendo l'Agenzia delle Entrate sempre fondato la sua pretesa sulla natura meramente potestativa della condizione sospensiva. Più volte è stato affermato da questa Corte che "In tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l'avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel "thema decidendum" del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio (da ultimo Cass. n. 20694 e n. 15430 del 2018). Ebbene "In virtù del principio "iura novit curia" di cui all'art. 113, comma 1, c.p.c., il giudice ha il potere-dovere di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in giudizio, nonché all'azione esercitata in causa, potendo porre a fondamento della sua decisione disposizioni e principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti, purché i fatti necessari al perfezionamento della fattispecie ritenuta applicabile coincidano con quelli della fattispecie concreta sottoposta al suo esame, essendo allo stesso vietato, in forza del principio di cui all'art. 112 c.p.c., porre a base della decisione fatti che, ancorché rinvenibili all'esito di una ricerca condotta sui documenti prodotti, non siano stati oggetto di puntuale allegazione o contestazione negli scritti difensivi delle parti" (Vedi Cass. n. 30607 del 2018). Nella specie la presenza della clausola di restituzione del bene non risulta essere stata oggetto di allegazione nel giudizio di merito; ne consegue l'inammissibilità del motivo per novità della censura.
6.2 In ogni caso il motivo è inammissibile in quanto la qualificazione della condizione, come risolutiva o sospensiva, rientra nella interpretazione della volontà delle parti rimessa al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità solo sotto il profilo della violazione dei canoni ermeneutici, che non è stata dedotta tra i motivi di censura. Pacifico infatti che "In tema di ermeneutica contrattuale, l'accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo nell'ipotesi di violazione dei canoni legali d'interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e seguenti c.c. Ne consegue che il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d'interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai richiamati canoni legali (Vedi Cass. n. 17168 del 2012; n. 27136 del 2017 e n. 873 del 2019).
7. Infondato infine il quarto motivo. 7.1 Ai sensi dell'art. 27 del d.P.R. n. 131 del 1986 "Gli atti sottoposti a condizione sospensiva sono registrati con il pagamento dell'imposta in misura fissa. Quando la condizione si verifica, o l'atto produce i suoi effetti prima dell'avverarsi di essa, si riscuote la differenza tra l'imposta, dovuta secondo le norme vigenti al momento della formazione dell'atto, e quella pagata in sede di registrazione. Non sono considerati sottoposti a condizione sospensiva le vendite con riserva di proprietà e gli atti sottoposti a condizione che ne fanno dipendere gli effetti dalla mera volontà dell'acquirente o del creditore."
7.2 Costituisce orientamento consolidato che "La condizione è "meramente potestativa" quando consiste in un fatto volontario il cui compimento o la cui omissione non dipende da seri o apprezzabili motivi, ma dal mero arbitrio della parte, svincolato da qualsiasi razionale valutazione di opportunità e convenienza, sì da manifestare l'assenza di una seria volontà della parte di ritenersi vincolata dal contratto, mentre si qualifica "potestativa" quando l'evento dedotto in condizione è collegato a valutazioni di interesse e di convenienza e si presenta come alternativa capace di soddisfare anche l'interesse proprio del contraente, soprattutto se la decisione è affidata al concorso di fattori estrinseci, idonei ad influire sulla determinazione della volontà, pur se la relativa valutazione è rimessa all'esclusivo apprezzamento dell'interessato. (Vedi Cass. n. 18239 del 2014 e n. 11774 del 2007).
7.3. Come correttamente evidenziato dalle decisioni di merito non può considerarsi dipendente dalla mera volontà dell'acquirente una condizione il cui avverarsi è rimessa alla volontà di un terzo, nella sua qualità di potenziale conduttore; inoltre è innegabile che nel caso in esame la realizzazione della condizione era collegata ad un interesse apprezzabile, quello del contraente ad acquistare il terreno solo nel momento in cui fosse stato certo dell'esito positivo di una ulteriore operazione finanziaria, che aveva ad oggetto la locazione del compendio immobiliare da realizzare sullo stesso. Ne consegue la corretta applicazione del primo comma dell'art. 27 cit. e quindi della tassazione in misura fissa ivi prevista.
8. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso va rigettato. 8.1 Segue la condanna dell'Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso; condanna l'Agenzia delle Entrate a pagare alla V. s.r.l. le spese di lite del presente giudizio, che si liquidano nell'importo complessivo di € 13.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Così deciso, in Roma, in data 11 settembre 2019.
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