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Vendita di appartamenti. Per rideterminare la plusvalenza l’Agenzia deve provare, oltre allo scostamento rispetto ai valori OMI, anche ulteriori elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti. Accolto il ricorso per cassazione del venditore.

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Estratto: “Il giudice del rinvio avrebbe dovuto attendere a questa valutazione, sulla base degli elementi allegati dalle parti nel processo, sino alla totale conferma dei valori attribuiti dall'Ufficio - qualora da questo allegati ulteriori elementi oltre i valori OMI - oppure sino al riconoscimento integrale dei valori dichiarati dai contribuenti. Era comunque necessario che la rideterminazione dei valori, diversi da quelli dichiarati, fosse fondata su elementi presuntivi gravi precisi e concordanti ex art. 2697 c.c.”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Ordinanza n. 2892 del 31 gennaio 2019

Rilevato che:

La A. & C. s.n.c. nonché i soci X e Y., ricorrono per la cassazione della sentenza n. 44/12/12, emessa dalla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte e depositata il 10.07.2012; riferiscono che il contenzioso traeva origine dall'avviso di accertamento con il quale era rideterminata la plusvalenza conseguita dalla vendita di quattro unità immobiliari, effettuata nell'anno 2000, di cui due al primo piano e due al piano terra, di un fabbricato costruito in XXX; nella fase del contraddittorio endoprocedimentale l'Amministrazione, che in un primo momento aveva attribuito in base ai valori OMI 1998 un incremento di valore per tutti gli appartamenti, aveva accettato il valore dichiarato dalla società per la vendita delle unità del primo piano; non vi era stata invece concordanza sul prezzo delle unità del piano terra, sicchè il valore, complessivamente dichiarato in vecchie £ 672.425.000 dalla contribuente, era stato elevato a £ 845.665.000 con accertamento induttivo. Era seguito il contenzioso, con rigetto della impugnazione dell'atto impositivo da parte della Commissione Tributaria Provinciale di Cuneo e con accoglimento dell'appello da parte della Commissione Tributaria Regionale di Torino, che, ritenendo inibito all'Ufficio il ricorso all'accertamento induttivo in presenza di contabilità regolare e riconoscendo un minor valore al mq per gli alloggi del pian terreno rispetto a quelli del primo piano, aveva annullato l'atto impositivo con sentenza del 13.11.2007. La sentenza era cassata da questa Corte con pronuncia n. 14662 del 2010 perché erroneamente il giudice regionale aveva escluso l'accertamento induttivo e perché altrettanto erroneamente aveva annullato l'atto anziché procedere a rideterminare, nel merito, il valore dei cespiti alienati, al fine della verifica della plusvalenza. Il giudice del rinvio, con la sentenza ora impugnata, rideterminava il valore delle vendite in vecchie £ 780.000.000, assegnando agli alloggi del pian terreno una valutazione del 20% inferiore a quelli del primo piano. Le ricorrenti censurano la pronuncia con due motivi: con il primo per violazione e falsa applicazione dell'art. 384 c.p.c. e dell'art. 39 co.. 1, del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all'art. 360 co. 1, n. 3 c.p.c., per avere il giudice del rinvio mal governato i principi desumibili dall'art. 2729 c.c. in ordine alla valutazione delle presunzioni; con il secondo per difetto e contraddittorietà della motivazione, in relazione all'art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c., perché incomprensibile il percorso logico-argomentativo in base al quale il giudice del rinvio aveva rideterminato in £ 780.000.000 il valore complessivo delle vendite. Ha chiesto pertanto la cassazione della sentenza. L'Agenzia delle Entrate non si è costituita.

Considerato che:

I due motivi, che possono avere una trattazione unitaria perché relazionati a questioni connesse e volte nella sostanza a criticare l'erronea valutazione sul maggior valore dei cespiti immobiliari a fronte del dichiarato, sono infondati. Lamentano in sostanza le ricorrenti che, sul piano delle norme giuridiche applicabili e della motivazione elaborata dal giudice del rinvio, la sentenza mostra una errata valutazione delle presunzioni disponibili e una motivazione illogica, non lasciando comprendere come si giunga a determinare un valore delle vendite superiore a quanto dalla società dichiarato. Per inquadrare la fattispecie nella cornice dei principi giuridici entro cui essa va esaminata deve rammentarsi che alla disciplina dell'art. 35 co. 3 del d.l. n. 223 del 2006, convertito in I. n. 248 del 2006, la quale, integrando l'art. 39 co. 1 lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973, attribuiva valore di presunzione legale al valore normale dell'immobile risultante dalle quotazioni OMI al fine della determinazione del corrispettivo di cessione di un cespite immobiliare, seguì la disciplina introdotta dalla I. n. 244 del 2007, che, nell'intento di regolare il valore probatorio attribuibile alle quotazioni OMI per le fattispecie negoziali insorte in epoca anteriore alla normativa del 2006, dispose all'art. 1, co. 265 che «In deroga all'articolo 1, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, per gli atti formati anteriormente al 4 luglio 2006 deve intendersi che le presunzioni di cui all'articolo 35, commi 2, 3 e 23-bis, del decretolegge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, valgano, agli effetti tributari, come presunzioni semplici.>>. Seguì infine la I. n. 88 del 2009 (legge comunitaria 2008), che con l'art. 24 co. 5 intervenne di nuovo sulla disciplina delle presunzioni riconducibile all'art. 39 cit., eliminando la presunzione legale introdotta dal citato art. 35. Ciò a seguito del parere motivato del 19 marzo 2009 della Commissione europea, la quale, nell'ambito del procedimento di infrazione n. 2007/4575, aveva rilevato l'incompatibilità -in relazione specificamente all'IVA, ma con valutazione ritenuta estensibile dal legislatore nazionale anche alle imposte dirette- delle disposizioni del 2006 con il diritto comunitario. L'intervento modificativo del 2009 ha così ripristinato il quadro normativo anteriore al luglio 2006. Nella successione di leggi si è pertanto definitivamente persa la presunzione legale del valore dei cespiti secondo il valore normale emergente dalle quotazioni OMI. Ciò tuttavia non ha escluso del tutto il riferimento a tali quotazioni. A tal fine questa Corte ha ripetutamente affermato che in tema di accertamento dei redditi d'impresa, in seguito alla sostituzione dell'art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 ad opera dell'art. 24 co. 5, della I. n. 88 del 2009, che, con effetto retroattivo -stante la sua finalità di adeguamento al diritto dell'Unione europea- ha eliminato la presunzione legale relativa di corrispondenza del corrispettivo della cessione di beni immobili al valore normale degli stessi introdotta dall'art. 35 cit., così ripristinando il precedente quadro normativo in base al quale l'esistenza di attività non dichiarate può essere desunta "anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti", l'accertamento di un maggior reddito derivante dalla predetta cessione di beni immobili non può essere fondato soltanto sulla sussistenza di uno scostamento tra il corrispettivo dichiarato nell'atto di compravendita ed il valore normale del bene quale risulta dalle quotazioni OMI, ma richiede la sussistenza di ulteriori elementi indiziari gravi, precisi e concordanti (Cass., sent. n. 9474/2017; n. 26487/2016; n. 24054/2014; da ultimo cfr. anche ord. n. 11439/2018). Ebbene, pacificamente esclusa la dignità di presunzione legale dei valori OMI, spettava alla Commissione regionale - quale giudice del rinvio cui era stato demandato di verificare il valore delle plurime operazioni di cessione secondo i principi dell'art. 39 lett. d) cit, applicabile ogni qual volta gli elementi presuntivi emergenti, pur nella regolarità della contabilità, consentissero di rilevare un contrasto tra il valore dichiarato e quello effettivo - procedere ad una valutazione del materiale indiziario allegato al processo (dalla Agenzia, nonché dal contribuente ai fini della prova contraria), al fine di verificare se esso potesse assurgere a prova, per la convergenza di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, ai sensi dell'art. 39 co. 1 lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973. A tal fine va anche opportunamente avvertito che in materia di presunzioni semplici non è escluso che l'accertamento trovi fondamento anche su di un unico elemento presuntivo. Nella prova civile infatti, ed anche ai fini degli accertamenti tributari, non è necessario che gli elementi assunti a fonte di presunzione siano plurimi, benché gli artt. 2729, co. 1, c.c. 38, co. 3 e 39, co. 4 del d.P.R. n. 600 del 1973, 54 del d.P.R. n. 633 del 1972 sì esprimano al plurale, potendosi il convincimento del giudice fondare anche su un elemento unico, preciso e grave, la valutazione della cui rilevanza peraltro, nell'ambito del processo logico applicato in concreto, non è sindacabile in sede di legittimità ove sorretta da motivazione adeguata e logicamente non contraddittoria (cfr. Cass., sent. n. 656/2014; sent. 17574/2009). Tali condivisibili conclusioni vanno però ricondotte alle concrete fattispecie, al fine di valutare se anche l'unico elemento presuntivo soddisfi con sufficienza il supporto probatorio alla rettifica del corrispettivo. Proprio in materia di rettifica dei corrispettivi dichiarati nel settore immobiliare, si è ritenuto indizio unico e sufficiente lo scostamento tra l'importo dei mutui e i minori prezzi indicati dal venditore (cfr. Cass., ord. 14388/2017). Di contro proprio il solo scostamento dai valori OMI è stato ritenuto insufficiente, perché trattasi di un dato a sua volta presuntivo e non di un fatto, attesa la sua riconducibilità ai cd. valori normali di mercato appresi da studi statistici (Cass., sent. n. 9474 cit; cfr. anche Cass., sent. n. 24054/2014 in tema di valori UTE). Inquadrata giuridicamente la fattispecie, il giudice regionale, dopo aver ricostruito la vicenda storica, aver riportato i prezzi di vendita delle unità abitative vendute al primo piano, per le quali Ufficio e contribuente avevano ritenuto possibile concordare il valore, ed i prezzi delle unità abitative vendute al pian terreno, sulle quali invece il contrasto tra le parti era persistito, determinando l'insorgenza della causa, ha affermato che «la Commissione rileva che le unità immobiliari in questione sono state censite nella categoria A/2 ed è stata la stessa Agenzia ad attribuire alle unità del piano terreno una classe inferiore a quelle del primo piano il che comporta una valutazione del piano terreno inferiore del 20% rispetto a quella degli alloggi al primo piano non posti in discussione. Tenuto conto di queste circostanze il valore degli appartamenti del piano terreno non può essere uguale a quello degli appartamenti del primo piano. Il valore degli appartamenti viene quindi determinato complessivamente in £ 780.000.000.». La motivazione si rivela del tutto inadeguata a sorreggere le conclusioni cui il giudice regionale perviene, ignorando del tutto i principi giuridici e i criteri che possono supportare la prova presuntiva. Con la precedente ordinanza questa Corte aveva cassato la prima pronuncia della CTR piemontese affermando due principi, il primo è la eseguibilità di un accertamento induttivo anche in presenza di scritture contabili formalmente regolari, il secondo è che all'annullamento dell'avviso di accertamento non poteva seguire una mera pronuncia di illegittimità dell'atto impugnato, ma la rideterminazione del valore impositivo degli immobili compravenduti. Il giudice del rinvio avrebbe dovuto attendere a questa valutazione, sulla base degli elementi allegati dalle parti nel processo, sino alla totale conferma dei valori attribuiti dall'Ufficio - qualora da questo allegati ulteriori elementi oltre i valori OMI - oppure sino al riconoscimento integrale dei valori dichiarati dai contribuenti. Era comunque necessario che la rideterminazione dei valori, diversi da quelli dichiarati, fosse fondata su elementi presuntivi gravi precisi e concordanti ex art. 2697 c.c., nel rispetto dei principi già esposti. La sentenza invece è del tutto carente, limitandosi a richiamare la diversa classe catastale delle unità abitative, circostanza in sè irrilevante, e sul presunto più basso valore degli appartamenti posti al piano terra rispetto a quello attributo alle unità del primo piano, privo di ogni pur debole riscontro obiettivo. Anche i riferimenti ad una consulenza espletata nel giudizio di primo grado, cui negli atti si fa cenno, restano del tutto vaghi e comunque neppure presi in esame. Ritenuto che in conclusione i motivi di ricorso sono fondati e la sentenza va conseguentemente cassata, con rinvio per la seconda volta alla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, in diversa composizione, che dovrà decidere tenendo conto dei principi somministrati, oltre che sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, che in altra composizione deciderà anche sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, il giorno 28 novembre 2018

 

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